L’Italia pretende “tutta la verità” sulla morte di Giulio Regeni e reagisce con rabbia all’ultima versione della rapina finita male che arriva dal Cairo. Con i genitori del ragazzo che si dicono “feriti e amareggiati” ed esortano il governo a reagire “con fermezza a questa oltraggiosa messa in scena”. Ieri sera è stato il ministero dell’Interno egiziano ad annunciare la ‘svolta’ con tanto di foto: il passaporto di Giulio ed altri oggetti personali (i suoi badge dell’Università americana del Cairo e di quella di Cambridge, la carta di credito, oltre a due telefonini e a un borsone) erano stati trovati in un’abitazione legata a una banda che sequestrava stranieri per rapinarli. Tutti i componenti la banda erano stati uccisi in un blitz delle forze di sicurezza. Anche se il caso al Cairo non è stato dichiarato formalmente risolto, il rilancio della pista ‘criminale’ al posto di quella degli apparati di sicurezza deviati è stato accolto da tutti in Italia come un potenziale nuovo depistaggio. E tutti chiedono una prosecuzione delle indagini. La banda criminale, secondo il ministero egiziano, era “specializzata nel camuffarsi da agenti di polizia e sequestrare stranieri per rapinarli”: a detta del dicastero, avrebbe colpito almeno nove volte e il suo leader, Tarek Saad Abdel Fatah, 52 anni, un pregiudicato con condanna a quattro anni di reclusione, aveva un documento di riconoscimento falso che lo qualificava come uomo dei servizi di sicurezza egiziani con tanto di attestato di emissione dello stesso ministero. “Tutti” i cinque componenti del gruppo, tra cui suo figlio Saad di 26, sono morti nello scontro a fuoco avvenuto giovedì mattina alla periferia est del Cairo. La sorella di Tarek, sempre secondo il ministero, sapeva delle attività del fratello e gli nascondeva la refurtiva. In casa sua, è la versione del Cairo, sono stati trovati gli oggetti di Regeni. Fonti della procura hanno sostenuto che in un interrogatorio la sorella e la moglie di Tarek hanno confessato che la banda ha ucciso Regeni perché si è ribellato alla rapina. Quest’ultima indiscrezione in giornata non ha trovato conferme ufficiali e il dicastero nel tardo pomeriggio ha emesso un nuovo comunicato per annunciare che le indagini proseguono “in coordinamento” con il pool di inquirenti italiani al Cairo. Ma il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, ha dichiarato che “gli elementi finora comunicati dalla Procura egiziana al team di investigatori italiani presenti al Cairo non sono idonei per fare chiarezza”. Le indagini sulla morte di Regeni devono fare “piena, totale luce, senza ombre o aloni”, è stata la reazione di Palazzo Chigi: l’Italia, ha fatto sapere il governo ribadendo il proprio sostegno alla procura di Roma e ai familiari del ragazzo, “non si accontenterà mai di niente di meno della verità, di tutta la verità”. Parole analoghe quelle twittate dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: “L’Italia insiste, vogliamo la verità”. E per una volta la reazione è bipartisan. Roberto Calderoli, vice presidente del Senato, definisce “inverosimile” la versione arrivata dal Cairo, mentre il presidente della commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, si dice “molto perplesso”: “Pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. “Non credo assolutamente alla nuova verità delle autorità egiziane”, twitta il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi. Molto rilanciato su internet anche l’hashtag “#iononcicredo” dell’ex premier Enrico Letta, mentre per l’ex ministro degli Esteri Emma Bonino è “l’ennesima fabbricazione”.
CRONACA
25 marzo 2016
“Regeni ucciso in una rapina”, l’ira dell’Italia: “Fuori la verità”