«Camorristi, fascisti e polizia dai nostri quartieri vi cacceremo via». Lo slogan lo urlano all’unisono sul sagrato della Basilica di Santa Maria della Sanità. Incuranti che di fronte, a guardarli, ci sono decine di poliziotti dispiegati in posizione anti sommossa. Sono i manifestanti del corteo organizzato in occasione del 25 aprile, festa della Liberazione, da comitati, associazioni e movimenti. Mentre a pochi passi, in via Arena Sanità, ci sono i vetri in frantumi di un negozio di abbigliamento. Segno tangibile di avvertimenti, di spari. Gli ennesimi, perché i “nuovi padroni” del quartiere si muovono su due fronti: spaccio di droga e racket. Eppure alla Sanità si manifesta nel giorno del settantunesimo anniversario della Liberazione dal giogo nazifascista. Partito da piazza Mancini poco dopo le 10, il sit-in ha attraversato le strade del centro per giungere nel cuore del Rione Sanità. Dopo aver percorso via Cesare Rosaroll, via Foria (dove non sono mancati attimi di tensione quando la fiumana umana è arrivata davanti alla sede di Casapound) e via Vergini la protesta ha avuto il suo culmine in piazza Sanità. Una piazza che, nell’ultimo anno, è stata teatro di tanti tragici eventi, a partire dalla morte di Genny Cesarano, il 17enne ucciso da un proiettile vagante durante una “stesa” in piena notte il 6 settembre scorso. Fino all’agguato mortale che ha visto il boss Pietro Esposito cadere sotto i colpi dei killer il 14 novembre 2015. Una piazza che, se di notte si trasforma in un territorio di guerra, di giorno diventa appannaggio dei comitati e delle associazioni che vogliono cambiare il volto del quartiere. Come urla Alex Zanotelli, padre comboniano che vive da più di dieci anni alla Sanità e che è una delle anime della Rete di associazioni che operano sul territorio, ma anche tra i promotori di “Un Popolo in Cammino”. Ed è lui che, giunti davanti all’aiuola che porta il nome del 17enne ucciso, prende la parola per lanciare l’ennesimo anatema contro i clan ma anche contro la mala politica che continua a fingere di non vedere: «Non possiamo negare la lotta tra clan che c’è in questo momento. Napoli è gestita da una criminalità che ormai non è più organizzata, ma disorganizzata. Ecco perché tutte queste bande di giovani sono in guerra. Non prendiamoci in giro – incalza Zanotelli, alla testa del corteo insieme a sigle come Laboratorio Occupato Insurgencia, Je so’ pazz, Magnammece O pesone, gli immigrati dell’Usb, Arcigay e l’Anpi (Associazione nazionale partigiani italiani) – quello di venerdì sera è solo l’inizio. Ci saranno altri omicidi e altre sparatorie. C’è bisogno di un Piano Marshall per salvare il quartiere, che dia scuole, lavoro e sicurezza. Siamo qui per liberarci e dire alla gente della Sanità che deve alzare la testa». Proprio alle spalle di Zanotelli c’è il ponte che nel 1943 fu liberato dai nazifascisti grazie alla partigiana Maddalena Cerasuolo. Un ponte che oggi porta il nome della giovane eroina delle Quattro Giornate. E proprio al di sotto di quel ponte che sovrasta piazza Sanità ieri – ancora una volta – in tanti hanno urlato la loro voglia di riscatto e di ribellione. Oltre duemila persone, stando alle stime degli ispettori della Digos che erano in piazza a monitorare la marcia, hanno fatto sentire la loro voce. «La scelta di chiudere il corteo alla Sanità – spiega Ivo Poggiani, uno degli attivisti – è per riattualizzare la Resistenza. Oggi il popolo della Sanità si sta battendo contro la camorra per dire che le armi devono essere bandite». Quelle stesse armi che qualcuno ha usato, pochi giorni fa, contro le vetrine di un negozio in via Arena Sanità per intimidire il titolare.
CRONACA
26 aprile 2016
Sanità degli indignados, tremila voci anti-camorra