Il “conclave” della camorra gli aveva affidato un compito e una pistola: «Uccidi Mario Ascione», l’ordine dei boss della cupola del clan Birra-Iacomino. «No, per nulla al mondo», le parole di quel “gran rifiuto” entrato dritto nelle pagine di storia della faida “infernale” che dal 2000 al 2010 ha messo in ginocchio le città di Ercolano e Torre del Greco.
Sì, perché a uccidere il fratello di Raffaele ‘o luongo, padrino dei “bottone”, non dovevano essere – come emerso dall’ultima inchiesta dell’Antimafia – i killer dei Lo Russo, clan alleato con i Birra bensì un pezzo da Novanta della camorra vesuviana. Si tratta di Giovanni Durantini, alias “Boninsegna”, il ras dello spaccio a Pugliano diventato collaboratore di giustizia. E’ proprio il pentito un tempo vicino al clan della Cuparella a svelare agli inquirenti – nell’ambito dell’inchiesta costata l’arresto a 9 persone, tutte ritenute coinvolte nel massacro di Mario Ascione e Ciro Montella del marzo 2003 – i retroscena di quel duplice omicidio che avrebbe dovuto commettere in prima persona. In un interrogatorio datato gennaio 2014, infatti, il superpentito parla di un ordine ricevuto in carcere direttamente da Giovanni Birra.
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