La sua vita da camorrista l’ha dedicata interamente a una missione: vendicare la morte di suo padre, ucciso sotto i suoi occhi in un giorno d’estate del 1993. I sicari, in sella a uno scooter, gli spararono una raffica di proiettili al petto, macchiando di sangue il vestito buono e il sagrato della chiesa di corso Italia, dove doveva fare da testimone di nozze a un amico-camorrista. Un’immagine che Vincenzo Esposito, ex affiliato del clan Birra-Iacomino, si è portato dietro per 10 anni: esattamente quelli trascorsi dal massacro di suo padre, al secolo Salvatore, alias “Luluccio” (pezzo da 90 del clan dei cutoliani) a quello di Mario Ascione, il boss rivale a capo della cosca che avrebbe commissionato l’omicidio di suo padre. A spingere il figlio di “Luluccio” nella faida di camorra – il suo nome è al centro anche dell’inchiesta per l’omicidio di Vincenzo e Gennaro Montella, uccisi a Torre del Greco – non ci sono gli interessi e nemmeno la “tradizione” familiare. Ma semplicemente quella rabbia covata per un decennio guardando la foto di suo padre. Un sentimento raccontato in prima persona da Vincenzo Esposito, da qualche anno collaboratore di giustizia.
+++TUTTI I DETTAGLI IN EDICOLA OGGI SU METROPOLIS QUOTIDIANO+++