C’è una legge del 1961 per cui i sacerdoti in divisa sono equiparati agli ufficiali. Nelle forze armate italiane ci sono 173 tra generali, colonnelli, e capitani. Il loro compito è fornire assistenza spirituale ai militari. Per loro lo Stato spende oltre 20 milioni di euro: hanno diritto a retribuzioni dorate, indennità di ogni tipo, avanzamenti automatici di carriera e una serie di benefit che hanno poco in comune con l’idea di povertà della Chiesa tanto cara a Papa Francesco.
Se lo stipendio di un prete è sui mille euro, un cappellano come tenente ne percepisce il doppio e a fine carriera, da colonnello, può superare i cinquemila euro. Senza contare gli innumerevoli bonus: indennità di lancio (se si lancia con il paracadute); indennità di imbarco (se è su una nave); indennità di trasferimento; il rimborso per il trasporto del bagaglio personale e dei mobili; l’indennizzo chilometrico per gli spostamenti e molte altre ancora.
Tanti privilegi non rischiano dalla missione evangelica? Tra di loro, forse in pochi ricordano che il pontefice all’atto della sua ascesa al soglio pontificio ha preferito indossare una croce di ferro piuttosto che quella d’oro, diversamente da come aveva fatto chi l’ha preceduto. Un gesto significativo che però non sembra aver toccato i cappellani militari. Finora, almeno. Pare, infatti, che ci siano novità in arrivo. L’arcivescovo Santo Marcianò ha già avuto i primi colloqui con il Ministero della Difesa, e ha fatto capire che si può arrivare a un’intesa anche a breve: i cappellani potrebbero anche rinunciare ai gradi.
Il Ministero della Difesa si potrebbe preparare a risparmiare. Quanto? Il risparmio stimato è pari a 350 mila euro, il 3 per cento appena. Forse anche l’intesa in arrivo è da rivedere.