Il boss voleva godersi la scena dal vivo. Assaporare il gusto della vendetta con le mani poggiate sulla ringhiera del suo terrazzino. Prigioniero di quella “reggia” dalla quale sfidava, a colpi di pistola, prima i suoi nemici e poi lo Stato. «Uccidetelo sotto casa mia», l’ordine ai killer incaricati di massacrare quell’uomo “colpevole” soltanto di essersi innamorato di una donna con una parentela pesante. Una sentenza di morte costata 30 anni di carcere a Giovanni Birra, il padrino della cosca di via Cuparella, il fondatore del clan protagonista della feroce guerra di camorra contro gli Ascione-Papale. A 15 anni dall’omicidio di Raffaele Filosa, ucciso perché fidanzato di una donna imparentata con un boss dei “Bottone”, la Corte di Cassazione – attraverso una sentenza emessa nei giorni scorsi – ha scritto la parola fine su uno dei delitti più cruenti della storia della faida tra cosche. Confermando il verdetto emesso in secondo grado, i giudici hanno ribadito il ruolo svolto da Birra all’interno del massacro andato in scena l’’8 luglio del 2001 a corso Resina, sotto la roccaforte del padrino, oggi sede di Radio Siani, la web emittente anti-camorra di Ercolano.
CRONACA
3 luglio 2016
Torre del Greco, “Uccidetelo sotto casa mia”: omicidio show per il boss