Una magistratura di «ricchi, di casta», dove il «pluralismo ideologico sembra destinato a diventare un ricordo lontano». E, adesso, più che mai precaria. Ché le nuove leggi in materia di Giustizia, anziché mettere punti fermi per facilitare l’esercizio dell’azione penale, stanno facendo venire il mal di testa a giudici, pm e personale amministrativo.
La possibile proroga (la terza a far data dall’agosto 2014) dell’età pensionabile dei magistrati over 70 rimette al centro della discussione il mondo delle toghe e le mille disfunzioni che azzoppano la macchina della Giustizia. Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, passando immancabilmente per la via di Napoli. Le questioni più spinose sono quelle degli organici, sempre troppo corti, delle competenze degli operatori della legge e dell’accesso alla professione. Un «accesso libero solo nei fatti», osserva piccato Antonio D’Amato, presidente dell’Associazione nazionale magistrati-sottosezione Napoli.
Giudice, come mai l’ingresso in magistratura sta diventando escludente?
Tutto è cominciato nel 2006 quando l’accesso in magistratura è diventato un concorso di secondo grado. Per fare il concorso devi essere già avvocato, oppure devi aver lavorato un tot di anni nella pubblica amministrazione. Oppure devi aver frequentato la scuola di magistratura per due anni. O, ancora, devi sostenere, sempre per due anni, un tirocinio in un ufficio giudiziario per due anni. Praticamente se tutto va bene, un ragazzo accede alla magistratura dieci anni dopo il suo ingresso all’Università di Giurisprudenza. Questo fa sì che solo chi ha certe possibilità economiche possa aspirare ad affrontare un percorso così lungo e costoso.
Dunque adesso in magistratura entrano alcuni, ci arrivano tardissimo e si devono scontrare pure con un sistema che non brilla per efficacia.
È così. Le disfunzioni sono notevoli. Gli organici, sia dei magistrati che della pubblica amministrazione, sono perennemente in affanno. Se la coperta è corta si va tutti in difficoltà. E si generano storture, come l’impossibilità di trattare in tempi celeri i processi, molti dei quali restano ad impolverarsi sui tavoli e non per colpa dei magistrati.
Però delle riforme immaginate per migliorare il funzionamento della macchina giudiziaria sono state adottate. Non sono bastate?
Il punto è che non funzionano. Il processo civile telematico non va. Poi si è pensato di applicare l’informatizzazione al penale. Un’altra trovata inutile. Nessun atto penale potrà mai nascere digitalmente. Oggi tutte le notizie criminis che arrivano sono in copia informatica e in copia cartacea, che viene puntualmente stampata. Il risparmio dov’è? La velocità dove sta? Ovviamente non c’è.
A vederla così sembra che si tratti di norme improvvisate, tampone.
Sì, siamo all’improvvisazione. Invece c’è bisogno di una riforma di sistema dell’apparato giustizia. Non si può ragionare sui singoli aspetti dei processi come se si trattasse di scatole chiuse, separate tra di loro.
La percezione dell’improvvisazione la sta dando, in queste settimane, anche la questione della proroga delle pensioni dei magistrati.
Io già non capisco per quale ragione si è intervenuti sull’età pensionabile dei magistrati. Ad ogni modo è stato fatto ed è chiaro che quanto è stato deciso non funziona, visto che quella legge è rimasta inapplicata.
Cosa suggerite?
Fissare una volta per tutte il tetto dell’età pensionabile a 72 anni e rispettarlo.
Circolano voci su una proroga solo per la Cassazione. Interventi ad hoc non rischiano di offuscare l’immagine di imparzialità delle toghe?
Certo che sì. Infatti noi siamo contrari a questo tipo di soluzione, sempre che sia concreta. Se si deve intervenire, lo si faccia per tutti.