Alcune hanno deciso di collaborare con lo Stato. Altre hanno preferito rimanere fedeli alla legge della strada. Altre ancora restano nell’ombra. E nell’ombra comandano ciò che rimane degli eserciti della faida. Sono le signore della camorra del Miglio d’Oro. La cupola rosa di boss e affiliati in gonnella che ha gestito e amministrato soldi e interessi di 5 tra i più potenti e sanguinari clan della storia della malavita vesuviana: i Birra, gli Ascione, i Papale, i Falanga e i Di Gioia. In tutto sono 10 e le loro storie, per quanto diverse e lontane, si intrecciano come i destini di quei clan messi in ginocchio dallo Stato. Chi resiste si aggrappa a loro, alle donne. Quelle vestite da casalinghe che fanno le cassiere del pizzo, portano le “imbasciate” del padrino, ordinano punizioni e a volte anche omicidi. Storie raccontate in prima persona da Antonella Madonna, Errichetta Cordua e Cira Ientile, le 3 super-pentite che hanno acceso i riflettori dell’Antimafia sull’altra metà del cielo che sta sopra i vicoli della camorra. Antonella Madonna era il capo del clan Ascione, aveva preso in mano le redini della cosca dopo l’arresto del marito, il boss Natale Dantese. Poi il tradimento con un marittimo, il raid punitivo del clan e infine il pentimento. E’ stata la prima a passare dalla parte dei “buoni” raccontando gli anni bui delle guerre e incastrando i camorristi mascherati da imprenditori. Più recente la collaborazione di Errichetta Cordua, condannata all’ergastolo in primo grado per omicidio, e forse la più spietata delle donne boss sotto al Vesuvio. Ha resistito per anni in carcere, ma quando l’hanno sbattuta al 41 bis – è stata una delle 3 donne al carcere duro in tutta Italia – si è arresa. I verbali della padrona della Cuparella, la roccaforte dei Birra, sono al vaglio dell’Antimafia e potrebbero svelare i misteri della guerra tra clan ma anche gli intrecci tra camorra e colletti bianchi. Nella lista delle pentite di spicco c’è anche Cira Ientile, moglie del boss – anche lui pentito – Isidoro Di Gioia, l’erede di Gaetano ‘o tappo, il padrino ucciso a Torre del Greco nel 2009. Oltre alla moglie del padrino, Maria Lucia Gravino e Donatella Pernicola. Ma sotto la cupola rosa della malavita, ci sono anche le donne rimaste “fedeli”. Le mogli e le figlie dei super boss che nell’ombra avrebbero gestito gli affari dei clan. Come Immacolata Adamo, la vedova nera della camorra, consorte del padrino defunto Raffaele Ascione. Per l’Antimafia e per i pentiti era lei il vero capo della cosca del-
la “moquette”, la punta di diamante dell’organizzazione specializzata in racket e omicidi. Donna Imma, sempre stando alle accuse, avrebbe gestito la cassa del clan e ordinato delitti e ritorsioni nei confronti dei rivali del clan Birra. Una storia simile a quella di Annamaria Carotenuto, moglie di Giuseppe Falanga e nota negli ambienti criminali con il soprannome di ‘a stroscia. Arrestata per estorsione avrebbe curato in prima persona tutti gli interessi del clan di Torre del Greco, gestendo le sorti dell’organizzazione: dal racket alla cassa passando per il traffico di droga. A chiudere il cerchio Gelsomina Sepe, moglie di Luigi Papale, capofamiglia dei “siciliani” con base a Erolano e Torre del Greco. Per i giudici che l’hanno condannata in primo grado assieme a sua figlia, era un’ambasciatrice del boss, riferendo agli affiliati gli ordini del capoclan finito dietro le sbarre.Proprio all’interno del clan Papale, secondo quanto emerso da una recente inchiesta condotta dall’Antimafia e messa in piedi dall’ex pm Pierpaolo Filippelli – il magistrato dei 40 ergastoli alla camorra del Miglio d’Oro – starebbe nascendo una nuova pink generation della camorra. Il clan, come chiarito dai pentiti un tempo vicini ai boss di vico Moscardino, sarebbe attualmente gestito da alcune donne. L’attività principale è lo spaccio, la vera fonte di sostentamento per la cosca dopo le rivolte anti-pizzo. Nuovi pilastri di quella cupola rosa che ha fatto della camorra un affare tra donne.