Lunghi viali costeggiati da palazzine di alloggi popolari, mercatini rionali abusivi e il grigiore di quei ponti che segnano il confine tra Capodimonte e i quartieri dell’area nord. Eccolo il Rione Don Guanella, dove due sere fa i killer hanno fatto fuoco contro una donna di 57 anni, madre di un pregiudicato, e suo nipote. Un bambino. Un dettaglio che non fa più notizia nel regno dei Capitoni, come vengono chiamati i Lo Russo. Il clan che tiene ancora in scacco la zona di Miano e del Rione Don Guanella e che in anni recenti ha esteso i suoi tentacoli alla Sanità. Un territorio quest’ultimo, dove il legame con “quelli di Miano” era in origine tenuto in piedi da Salvatore Torino, alias ‘o gassusaro, che scatenò una sanguinosa faida di camorra con il suo ex alleato Giuseppe Misso nei primi anni duemila. Oggi, o meglio all’indomani dell’ennesima sparatoria, al Rione Don Guanella tutto è uguale a prima. Nulla è cambiato. C’è assuefazione. Il fatto che i sicari (non si sa ancora se per motivi passionali o legati al controllo dei traffici illeciti sul territorio) abbiano esploso colpi di arma da fuoco contro una donna che aveva in braccio un bambino non intacca gli abitanti del rione. «Ci sono abituati – dice don Aniello Manganiello, che qui ci ha trascorso 16 anni della sua vita prima di essere allontanato nel 2010 dal cardinale Crescenzio Sepe – sono per così dire assuefatti a sparatorie, agguati e violenza in genere. E così abituano a crescere i bambini, anche se per fortuna non tutte le famiglie sono uguali».
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