di DARIO CIOFFI
Ci sono partite che decidono i destini e ci sono “partite del destino”. Salernitana-Benevento è un po’ l’una e un po’ l’altra. Perché chi conosce e vive il calcio sa bene che dopo una partenza così/così, in un derby, Sannino si giochi quantomeno una buona fetta d’ambizioni future, per non dire pure credibilità e panchina. In ogni caso, senza voler sempre e per forza personalizzare la questione all’italiana maniera, e cioè parlando d’un allenatore all’ultima o penultima spiaggia, va da sé che la consistenza granata si misuri adesso, contro una rivelazione d’inizio stagione e in una gara dai significati emotivi forti, che ne accentuano sia difficoltà che importanza.
Insomma, destini in ballo, però pure “partita del destino”, ché contro i sanniti, all’Arechi, negli ultimi anni la squadra del cavalluccio marino ha conquistato i successi più belli custoditi nei cassetti della memoria recente. All’alba di marzo del 2014, in una sfida palpitante, batticuore, la Salernitana di Gregucci trovò l’unica vera vittoria rimasta nella storia d’un campionato affatto indimenticabile. Finì 2-1, con rimonta micidiale, sui titoli di coda, griffata da un rigore di Mendicino al novantesimo e da una sassata di Gustavo all’ultimo secondo di recupero. Il Benevento, ch’era passato in vantaggio con Negro (sì, il Maikol che avrebbe poi giocato in quello stadio da padrone di casa), chiuse in nove uomini e senza portiere, costringendo bomber Evacuo a infilare i guantoni.
La Sud venne giù dalla felicità, però ancor più fragoroso fu il boato che accompagnò, dodici mesi dopo, la vittoria del sorpasso in testa alla Lega Pro. I sanniti di Brini comandavano la classifica, i granata di Menichini ne mangiavano le polveri. Lo scontro diretto dell’Arechi era il faccia a faccia che valeva mezza serie B. E (ri)vinse la Salernitana, pure quella volta: 2-0, a ritmo di Samba (seguendo i passi su cui già danzò il brasiliano Gustavo), con rete di Gabionetta e sigillo dal dischetto di Calil. Finì in delirio, con 20mila tifosi a «salutare la capolista» e i 2mila giallorossi rimasti “stregati”.
Raccogliesse quest’eredità, la squadra oggi guidata da Sannino, che già ad agosto in Tim Cup regalò un’amarezza al Benevento, eliminandolo ai rigori, colmerebbe il gap d’entusiasmo e chissà pure se tecnico sotto cui nasce il match in scena alle cinque e mezzo del pomeriggio. La formazione di Baroni è terza, imbattuta, segna sempre (da quasi un anno, in bianco solo una volta: proprio contro Terracciano nel derby estivo di Coppa) e non subisce quasi mai gol (appena 3, in 7 giornate). Ce n’è abbastanza per riconoscere ai neopromossi sanniti la prospettiva di possibile sorpresa nella corsa alla serie A, già nel loro primo storico torneo cadetto. Insomma, al netto delle suggestioni del passato, l’avversario peggiore che in questo momento alla Salernitana potesse capitare.
Poco male, se i granata vogliono trasformar in espressione i (tanti) buoni propositi raccontati prima che il pallone (ri)cominciasse a rotolare, tocca cercare e trovare una svolta. Mission da inseguire davanti a quasi 15mila tifosi (compresi i 2mila ospiti), non il massimo per tradizione e potenziale dell’Arechi, però tanta roba per una squadra ch’è – punti alla mano – al penultimo posto in B, e anche molti più di quanti se ne son visti due settimane fa all’Olimpico per Lazio-Empoli. Eppure, ieri, il multi-patron Lotito parlava di «disaffezione e distacco da parte della piazza», tanto da annunciare «inevitabili riflessioni». La solita “provocazione” o i primi (seri) sintomi di stanchezza?
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