C’è la mano del clan Licciardi di Secondigliano dietro la banda che è stata sgominata ieri e che era dedita al traffico di farmaci rubati, in genere quelli anti-tumorali. Secondo la procura di Bologna, che ha disposto misure cautelari per 18 persone, Prota era una sorta di “cassiere” del gruppo, legato ad Antonio e Settimio Caprini, padre e figlio di Scafati, entrambi legati da rapporto di parentela con la proprietaria della farmacia Verdura di Pompei. Prota era l’uomo che parlava con i vertici del clan, Paolo Abbatiello e Pietro Licciari, che incassavano una percentuale per nascondere la refurtiva al Nord. Secondo gli inquirenti, il clan incassava una parte di soldi dalla rivendita dei farmaci, che veniva corrisposta da Pasquale Alfano.
Un’intercettazione ambientale svela il ruolo di Settimio Caprini, Nino per gli amici, di professione ingegnere, ma tra gli uomini di spicco della banda, della quale fa parte anche il cavese Lambiase.
L’intercettazione che si trova agli atti risale al 27 maggio 2014 e Settimio Caprini dice a Raffaele Prota: “Vuoi o non vuoi la roba deve partire…” con tono incavolato. Poi spiega: “Io tengo da ammortizzare pure la roba che teniamo a terra (…) perché se tu prendi il buono. Le spese ci sono state, i soldi fuori ci sono man mano, ogni volta che prendiamo”.
Dopo essersi fermati a fare rifornimento, Settimio Caprini e Raffaele Prota continuano a parlare in auto e Nino continua a insistere: “Dobbiamo trovare un escamotage, la roba deve partire”.