Lui, da queste parti, può tutto. Anche presentarsi con un’ora e dieci di ritardo rispetto al protocollo che fissava l’inizio alle 11,30. Non glielo fa pesare nessuno. Anzi. Quaranta minuti dopo mezzogiorno, quando Delio Rossi sbuca dalla sua auto, lasciata eccezionalmente sul bordo d’una strada principale del campus di Fisciano – lì, di solito, le multe “volano” – a pochi passi dalle nuove strutture sportive che s’inaugurano all’Università di Salerno, la “casa del sapere” diventa una succursale della Curva Sud dell’Arechi. Il ritornello è quello di sempre, «Delio Rossi alé» sulle note di “Gam Gam”, un tormentone dei magnifici anni Novanta granata. E fa nulla se quasi tutti i ragazzi che lo scandiscono, quel coro, tra il 1994 e il ‘98 erano poco più che bambini, alcuni persino in fasce o non ancora nati. Certi miti si tramandano. E quello del “profeta” della doppia promozione della Salernitana, dalla C1 alla serie A, più d’ogni altro. Il mister si scusa, ché – precisa – «non sono abituato a far aspettare, però mancavo da così tanto tempo da Salerno che evidentemente ho dimenticato le distanze». Poco male. L’aspettano a braccia aperte. Lo “assalgono”, tra selfie, autografi, persino inviti a tavola («mister, “venite” a mangiare con noi?»). Lui si concede a tutti (solo il pranzo sarà privato, con il rettore Tommasetti e il suo staff). E a tratti, glielo si legge negli occhi, s’emoziona e quasi si commuove dinanzi a un abbraccio che avvolge, travolge e fa riaffiorare ricordi dolcissimi, incancellabili.
È come (ri)sentirsi “a casa”, vero, Rossi?
«Sì, ed è bellissimo scoprire, a distanza di tanti anni, un affetto del genere. Forse è persino troppo. Però fa infinitamente piacere».
Potere dei risultatiti ottenuti in granata, o cos’altro?
«Sicuramente ho lasciato qualcosa in questa gente. Mi fa piacere pensare che i salernitani siano legati a me per il mio esser arrivato in punta di piedi, nel lontano 1993, e per non aver mai preso in giro nessuno. Ci ho messo solo tanto lavoro e sacrificio. Poi, è storia nota, fummo bravi ad ottenere qualcosa d’impensabile».
Già, la promozione in serie B del giugno 1994. È sempre quella, come disse qualche tempo fa, la sua “squadra del cuore”?
«Sì, perché i ragazzi riuscirono a compiere un’impresa incredibile. E se non si fosse avverata, era ormai chiaro, quella Salernitana non sarebbe più esistita».
L’inizio d’un rapporto speciale: Delio e Salerno, come se il tempo si fosse fermato…
«Ringrazio i tifosi, anche per me c’è un legame fortissimo. Mia figlia è nata qui nel 1998, l’anno della conquista della serie A».
E sa che in molti non hanno mai smesso di sognare un suo ritorno.
«Pure io per un po’ ho pensato di rimanere a Salerno a vita. Però il calcio è fatto d’evoluzioni, cambiamenti. Il passato è importante, perché chi non ne ha rispetto non ha storia, ma è il presente che dev’esser vissuto con intensità».
Com’è il presente di Rossi, oggi allenatore senza panchina?
«Studio. Mi aggiorno. A volte desisto dall’andar a seguire qualche partita dal vivo, perché se mi vedono in uno stadio tutti pensano che sia lì per aspettare l’esonero di qualche mio collega. E faccio la fine di Lecce…».
Qual è quest’aneddoto di Lecce?
«Ero fermo, e la squadra salentina era l’unica pugliese in serie A. Da Foggia, dove vivo, il Via del Mare era lo stadio più vicino per vedere una gara d’alto livello. Andai con un parente di mia moglie, al quale il calcio non interessa nulla, veniva solo per accompagnarmi, ed io ero contento, perché non avevo domande a cui rispondere (sorride – ndr). Ovviamente qualcuno notò la mia presenza. Dopo tre giorni, ricevetti una telefonata. Era una proposta di lavoro. Erano i dirigenti Lecce…».
Coincidenze. Chissà se è coincidenza pure il gran numero di suoi ex calciatori ora diventati “colleghi” allenatori.
«Solo tra B e A penso, così, in ordine sparso, a Oddo, Brocchi, Inzaghi, Breda. Ma ce sono ancora altri».
Se li aspettava, in questa nuova veste?
«Breda di sicuro. Era un curioso, osservava, chiedeva sempre, un ragazzo d’intelligenza e cultura».
La sorpresa maggiore?
«Inzaghi, per esempio, non lo immaginavo affatto. Però il discorso è relativo. Il calciatore pensa solo a se stesso, un tecnico, invece, deve pensar a tutti eccetto che a sé. Finché non salti la barricata, i due ruoli sono troppo diversi e distanti. Non tutti sono Breda».
Né Delio Rossi…
«Io a 23 anni scrivevo tutti gli allenamenti di Zeman. Ma rappresento un caso a parte».
E i suoi ex giocatori le chiedono consigli?
«Quasi nessuno. Anche se mi sento spesso con diversi ragazzi. Però nel nostro mestiere funziona così».
Così, come?
«Noi allenatori siamo un po’ come i preti: siamo una casta, ci difendiamo a vicenda, però c’è molta gelosia, e ciascuno teme che altri possano “rubare” qualcosa».
Torniamo alla Salernitana. Come giudica la squadra di quest’anno?
«Valida. Con un tecnico capace, che conosce la categoria e l’ambiente. E poi, oltre alla competenza di Sannino, c’è una società solida alle spalle».
Va da sé che la piazza chieda di più della serie B.
«Intanto è stato fondamentale risalire dopo il fallimento, e uscire dalla Lega Pro. A Lotito va dato questo merito».
Che giudizio dà al campionato cadetto?
«Tecnicamente il livello è più basso rispetto a qualche anno fa, però è un torneo pieno di fascino, con grandi città, bei derby, tanta incertezza. Bisognerà vivere con equilibrio i momenti importanti, sia positivi che negativi. Poi i play-off insegnano che spesso vince la quarta o la quinta classificata».
Cosa c’è nel futuro di Delio Rossi?
«Vedremo. Di sicuro farò ancora questo lavoro, perché non so fare nient’altro».
E a chi continua a chiederle di tornare a Salerno, cosa dice?
«Che auguro alla Salernitana di non parlare più del passato, ma solo del presente. Poi, si sa, nel calcio tutto è possibile e la mia storia dice che sono già tornato dove avevo lavorato precedentemente».
E lui, da queste parti, può tutto…