Nel 1979, con l’Under-20, vince il mondiale, giocando al fianco di Maradona. Per gli argentini di quella generazione, la presenza di Diego fa la differenza tra vincere e non. Ramón Ángel Díaz è un attaccante esterno, diligente e talentuoso, ma privo, nel suo repertorio, dei quei “numeri” che infiammano le folle. Arriva a Napoli nell’82. Gioca 25 partite su 30 (con 3 gol all’attivo) ma, quella di Pesaola (subentrato a Giacomini alla 12esima giornata) è una squadra troppo modesta per mettere in luce le doti del giovane argentino. Il Napoli finisce il campionato a 28 punti solo due in più del Cagliari retrocesso. C’è Krol davanti a Castellini poi il resto è il nulla assoluto. In attacco oltre a Ramon ci sono Claudio Pellegrini, Scarnecchia e Vagheggi innescati da Criscimanni: solo 22 gol…e non c’è da meravigliarsi. A fine campionato finisce ad Avellino per rinverdire i fasti che erano stati di Juary. I biancoverdi, in quegli anni, vivono le stagioni migliori. Diaz si mette in luce e in 3 anni gioca 78 partite e segna 22 gol. Per 10 miliardi passa alla Fiorentina. Sembra aver trovato la sua dimensione. Estate 1988 l’Inter di Trapattoni sta allestendo la squadra che vincerà un memorabile scudetto. È stato acquistato l’algerino Rabah Madjer, uno dei migliori giocatori africani di tutti i tempi. A Milano c’è l’euforia alle stelle per Madjerce, però, non passa le visite mediche. Alla luce della sua successiva carriera questa scelta sembra un’altra delle tante “cantonate” prese dalla dirigenza nerazzurra. Bisogna correre ai ripari e in fretta. Non c’è tempo per il grande nome: Klinsmann viene opzionato per la stagione successiva. Trapattoni sceglie Diaz che arriva in prestito dai viola. La piazza è scontenta, si è passati da un assoluto Top Player a un giocatore di media levatura. Dopo qualche titubanza iniziale Diaz diventa pedina fondamentale di quella squadra, mettendo a segno anche 12 gol. Senza dubbio è un altro giocare (rispetto al Napoli dell’82) se hai Matthaus, Berti, Alessandro Bianchi e Serena compagni in attacco. È l’apice della sua carriera in Italia ma nel nostro campionato è in vigore la regola che limita a 3 gli stranieri tesserabili: Matthaus e Breme sono intoccabili. Diaz lascia il posto a Jürgen Klinsmann che però non sarà decisivo come Ramon. Passa al Monaco (miglior marcatore della Liga1) e poi ritorna in patria al suo River dove vince ancora due scudetti.
Con la nazionale Argentina disputa il mondiale del 1982. Con l’Albiceleste 24 partite e 10 gol.
Dopo una comparsata nel campionato giapponese, comincia la sua carriera da allenatore. Con il River, in 6 anni, vince 5 titoli (tra Apertura e Clausura) 1 Coppa Libertadores e 1 Supercoppa Sudamericana. Perde la Finale dell’Intercontinentale con la Juve nel 96. Seguono anni di delusioni e di vittorie tra Argentina, Messico e Nazionale del Paraguay.
Sia da calciatore che da Mister ha pagato l’avere l’espressione del viso come di chi sembra aver vinto per caso: Ramón Ángel Díaz, invece, è stato giocatore tattico e questa qualità lo ha trasformato in un allenatore vincente. Niente succede per caso.