Ai piedi dell’altare della chiesa di San Vito non c’è un blocco di marmo ma un cimitero. Le lapidi non sono di cemento ma di carta. E le foto di ragazzi e bambini ricordano quello che si nasconde dietro i numeri. Le cifre senz’anima che in questi anni hanno provato a raccontare la “strage” della terra dei fuochi del Vesuvio. C’è il faccione di Francesco che a 14 anni è stato ucciso dalla leucemia. C’è Aniello che un tumore ha strappato dalle braccia di sua madre quando aveva 24 anni. C’è Riccardo che non spegnerà mai la sua seconda candelina, quando è morto aveva 22 mesi. Ma anche Ciro, Maria, Alfonso, Giulia, Pasquale, Marco, Teresa. Uno, dieci, cento foto. Cento lapidi di carta. Cento morti di tumore nel cuore di quella terra dove c’è l’odore delle ginestre e la puzza delle discariche della camorra. Ieri a Ercolano, per la prima volta nella storia, è stata celebrata una messa per ricordare tutti i morti di tumore e leucemia di San Vito, il quartiere di periferia dove i fusti tossici sono nascosti sottoterra, vicino alle radici dei pomodorini. In centinaia hanno accolto l’invito di padre Marco Ricci, presentandosi in chiesa con le foto dei loro parenti morti di cancro. Prima di sedersi sulle panche hanno poggiato le fotografie ai piedi dell’altare. Un album dei ricordi senza copertina per raccontare «cosa si nasconde dietro i numeri», come ripete nel silenzio il sacerdote che ha fatto scoprire le cave dei veleni sepolti sul Vesuvio. Nella platea non c’è nemmeno un politico. Ma ci sono i volti, le lacrime e le storie di chi oggi chiede verità e giustizia. C’è anche la voce di Tiziana Boccone e Anna Magri. Due ragazze dell’altra terra dei fuochi, quella di Caserta. Hanno percorso 30 chilometri per gridare in faccia al Vesuvio il loro appello. «Vi supplico con tutte le mie forze – le parole di Tiziana dall’altare al termine della messa – denunciate, raccontate, parlate. Fate quello che serve per difendere questa terra meravigliosa e la vostra vita. Io sono malata da quando avevo 17 anni e non potrò mai avere un figlio». Le donne-coraggio che oggi sfidano le ecomafie sono come un grillo parlante che sussurra all’anima di chi ascolta coprendosi gli occhi. «Mio figlio aveva 2 anni – racconta Anna – gli avevo promesso che l’avrei riportato a casa ma non ci sono riuscita. In ospedale c’erano tanti bambini come lui. Raccontare fa male, lo so. Ma è l’unico modo che abbiamo per difenderci da tutto questo». All’uscita dalla chiesa c’è chi scappa via con le lacrime agli occhi. Ma c’è anche chi piange e si ferma, aprendo una vecchia ferita. «Mio figlio aveva 24 anni – racconta la signora Teresa – Voleva diventare un commercialista. A 22 anni si è ammalato e dopo qualche tempo è morto. Gli hanno strappato le ali mentre stava volando». La sfilata del dolore è però anche nelle 3 foto che tiene stretta tra le sue mani la signora Annamaria: «Mio genero aveva solo 40 anni. Il cancro lo ha colpito al cervello». Oppure la timidezza di Anna che stringe la cornice con il ricordo di sua mamma e di suo padre. La domanda è sempre la stessa: «Tumore». E la risposta non è una parola, ma un gesto che muove su e giù la testa. «Si» dicono le facce dei superstiti. I numeri del professor Gerardo Cianella, il primo a censire il dramma dei tumori a San Vito, ora sono realtà. Secondo il professore dell’ospedale Monaldi, il cancro ha bussato al 20% delle porte del quartiere.
CRONACA
11 febbraio 2017
Vesuvio: la strage silenziosa, uccisi dai veleni della camorra