Torre del Greco. Ha scelto di spezzare un silenzio lungo cinque anni, il tempo trascorso dal fallimento da 800 milioni di euro della Deiulemar compagnia di navigazione. Per raccontare la sua verità e ricostruire, non senza rimpianti, le tappe di una tragedia economico-finanziaria capace di travolgere un’intera città. «Oggi non conduco alcuna vita agiata. Anzi», la premessa di Giovanna Iuliano, l’erede del capitano rimasto al timone dell’ex colosso di via Tironi per circa 40 anni.
Parole sussurrate a mezza voce, come a sottolineare il rimpianto per l’ingloriosa fine dell’ex fiore all’occhiello dell’economia all’ombra del Vesuvio: «Da quando è cominciata questa vicenda – ricorda Giovanna Iuliano – abbiamo sempre cercato di mettere a disposizione di tutti i nostri beni, compresi gli immobili successivamente fatti stimare dalla curatela della Deiulemar compagnia di navigazione. Dopo la morte di mio padre, il comandante Michele Iuliano, mia madre e io abbiamo formulato una proposta transattiva depositata nel giudizio in cui veniva richiesto il riconoscimento della società di fatto con cui avevamo manifestato la messa a disposizione dei nostri beni mobili e immobili nonché dei conti correnti: la proposta venne respinte perché ritenuta irrisoria a fronte dell’esposizione debitoria e pertanto andava respinta».
La somma “offerta” si aggirava intorno ai 30 milioni di euro, messi insieme sommando gli importi dei conti corrente di tutta la famiglia. I soldi, uniti alle cifre messe a disposizione dalle famiglie Della Gatta e Lembo, avrebbero consentito ai risparmiatori di recuperare immediatamente circa il 12,5% del denaro andato poi in fumo con il crac della cosiddetta Parmalat del Mare. «Al netto delle percentuali e dei tempi – precisa Giovanna Iuliano – la mancata accettazione della proposta ha comportato che una parte dei beni messi a disposizione sia confluita nel fondo unico di giustizia e una parte sia confluita nelle casse della odierna curatela della società di fatto».
Un’agonia fino a oggi lunga 5 anni, fino al colpo di scena del “pentimento” dei fratelli Angelo Della Gatta e Pasquale Della Gatta. A cui, Giovanna Iuliano non risparmia qualche frecciata: «Abbiamo sempre messo a disposizione i nostri averi, dovendo in ogni caso sottostare alla procedura e allo svincolo di alcuni trust indipendenti dalla nostra volontà. Lo abbiamo fatto dal primo momento, come possono confermare tutti gli avvocati che seguono gli obbligazionisti nonché il comitato dei creditori presente in aula al momento del deposito della proposta di messa a disposizione».
Una collaborazione mostrata già dal 2012, ma in ogni caso in ritardo rispetto al danno arrecato a 13.000 famiglie di risparmiatori. «Mia madre e io non vogliamo essere “ringraziate” per avere messo a disposizione i nostri beni – si difende l’erede del capitano Michele Iuliano – ma vogliamo ribadire che noi abbiamo messo a disposizione da subito e non oggi ciò che avevamo a disposizione. E se oggi una parte di quello che avevamo proposto non è più disponibile è perché in parte si trova nel fondo unico di giustizia e una parte si trova nella casse della curatela della società di fatto».
Un grande rimpianto, ma non l’unico di 5 anni di battaglie giudiziarie. «Mia madre e io siamo state le uniche a fare ricorso alla possibilità dell’applicazione della legge Prodi Bis al gruppo Deiulemar – ricorda Giovanna Iuliano – affinché si potesse essere una amministrazione straordinaria gestita e diretta da uomini e figure scelte dal governo neutrali e in grado di riportare in bonis la Deiulemar. La corte d’appello di Napoli ha riconosciuto che c’erano i presupposti della Prodi Bis al gruppo Deiulemar e a tutte le attività correlate e la curatela del fallimento della Shipping ha presentato ricorso in Cassazione e a oggi siamo in attesa di fissazione udienza da luglio 2014. Nessuno ha voluto perseguire questa strada né il tribunale di Torre Annunziata che aveva bocciato l’idea poi riconosciuta nel 2014 dalla Corte d’Appello di Napoli né i restanti soci del gruppo Deiulemar che non hanno mai creduto nel progetto ambizioso che probabilmente avrebbe evitato il nascere di quattro, cinque o sei curatele fallimentari che gestiscono autonomamente singole società che sono fallite».
Insomma una miriade di curatori con spese su spese. «Nessuno ha voluto credere nella possibilità di ricorrere all’applicazione dell’amministrazione straordinaria governativa – conclude Giovanna Iuliano -. A oggi siamo in attesa che la corte di Cassazione fissi l’udienza e si pronunci in tal senso in quanto la curatela della fallita Shipping ha impugnato la sentenza che dichiarava la società in possesso dei requisiti per essere ammessa all’amministrazione straordinaria e avocare a se tutte le società fallite per evitare divergenze e contrasti e spese.
Tutti non hanno creduto in questo percorso, mentre noi sì. Se non vi fosse stato il ricorso in Cassazione alla sentenza, oggi avremmo da due anni uno scenario diverso».
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