Torre del Greco. Ai killer di Vincenzo Cardone, giovane fabbro ucciso per errore della camorra nel settembre del 1998, non è bastato nemmeno chiedere perdono per aver colpito a morte un innocente. E così a quasi 20 anni dal massacro in via Litoranea, boss e sicari al soldo del clan Falanga incassano 84 anni di carcere complessivi.
Il verdetto che riscrive una delle pagine più nere della guerra di camorra è arrivato ieri. A firmarlo il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli, Marina Cimma. Accogliendo quasi totalmente le richieste di condanna formulate dal pubblico ministero dell’Antimafia, Maria Di Mauro, il gip ha distribuito pene pesantissime per i 4 imputati finiti alla sbarra.
Hanno incassato 12 anni a testa i due pentiti. Si tratta di Antonio Mennella e Domenico Falanga, quest’ultimo figlio del padrino Giuseppe, capo fondatore della cosca che porta il suo nome. E’ di 30 anni, invece, la condanna inflitta dal gip a Sebastiano Tutti, boss del clan degli scissionisti, e ad Antonio Scognamiglio, altro rappresentante della costola dei “dissidenti” con base nel rione Sangennariello. Per loro il pubblico ministero aveva invocato l’ergastolo.
Una svolta che arriva a poco meno di un anno dal blitz che nel luglio scorso ha portato i carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata – guidati dal maggiore Leonardo Acquaro – ad eseguire un’ordinanza di custodia cautelare a carico dei 4 imputati. Secondo il teorema della Procura, alla base del delitto ci sarebbe un clamoroso errore di persona. Il vero obiettivo dei killer, come chiarito dai pentiti che hanno aiutato gli inquirenti a ricostruire i tasselli di quel massacro, era un uomo vicino al clan Chierchia. Un affiliato che Sebastiano Tutti avrebbe voluto punire per vendicare l’omicidio di suo fratello, ucciso il 19 settembre del 1998 in via Litoranea. Il primo atto della guerra tra i Falanga e i frasuà di Torre Annunziata. Santo Tutti, il fratello di Sebastiano, sarebbe infatti stato ucciso per una questione legata al pagamento di una partita di droga acquistata dai soldati di Peppe ‘o struscio ma mai pagata agli uomini della cosca vicina al clan Gionta. E così Tutti – sempre secondo quanto raccontato dai pentiti – avrebbe imposto al figlio del boss, Domenico Falanga di colpire a morte un affiliato dei Chierchia che aveva partecipato al delitto.
Cardone, assolutamente estraneo alle logiche criminali, fu ucciso perché qualche giorno prima aveva prestato il suo motorino al vero obiettivo dei killer. E quando i sicari entrarono in azione sullo scooter non c’era più l’uomo dei fransuà di Torre Annunziata, ma il fabbro innocente che venne sepolto sotto una pioggia di proiettili. Dettagli ricostruiti dalle parole dei pentiti, tra cui lo stesso Domenico Falanga, per un periodo il vero reggente dell’organizzazione criminale.
Nella sentenza il gip ha anche condannato gli imputati al pagamento dei danni ai familiari della vittima.