Quella sera del 4 gennaio del 2000 Maradona restò in bilico tra la vita e la morte e migliaia di persone seguirono gli eventi con il fiato sospeso. Aveva trascorso quei giorni in un ristorante di Punta del Este, a Josè Ignacio sulla costa dell’Uruguay, gestito da Felice Ambrosio, imprenditore di San Giuseppe Vesuviano da tempo trasferitosi a Baires. A Repubblica raccontò che Maradona era con Coppola, che erano allegri, che il Pibe de Oro aveva mangiato e perfino cantato. In particolare, aveva cantato canzoni napoletane. Il suo manager, quella sera stessa, in un’intervista radiofonica disse che la droga non c’entrava nulla».
Nel bel mezzo della festa, Maradona finì in coma. Il medico che lo salvò raccontò quel dramma in un’intervista a “El Pais” di Montevideo, nove anni dopo. Il medico si chiama Jorge Romero e intervenne quella notte dopo la segnalazione di Guillermo Coppola, agente dell’ex calciatore. «Mi trovai davanti un moribondo. Intorno molte persone che non sapevano cosa fare. Maradona non respirava quasi più. Era in piena crisi di cocaina. Ma il problema era trasportarlo al più presto in un ospedale per farlo respirare».
Il dramma, raccontò il medfico era che l’entourage di Maradona non voleva chiamare un’ambulanza per non scatenare la stampa. Diego fu trasportato in un piccolo ospedale di Punta dell’Este, ma era comunque una struttura poco attrezzata. Fu un calvario quel trasporto in ospedale, secondo il racconto del medico «la jeep restò senza benzina». I medici della clinica appuntarono la prima diagnosi sulla cartella clinica: «ipertensione arteriosa e aritmia ventricolare». Maradona lottò con tutte le sue forze e alla fine vinse la sua ennesima battaglia. Da allora ha provato a rialzarsi tentando di tenere lontano il suo più grande nemico: la cocaina.