Sua madre in lacrime dietro il vetro nella stanza dei colloqui del carcere di Nisida, dall’altra parte lui. In quel momento Ciro (nome di fantasia) ha capito: «avevo fatto una cazzata solo per sembrare grande ed importante agli occhi dei miei amici, tutto a un prezzo troppo caro, avevo rovinato la mia vita, provocato dolore alla mia famiglia e deluso la donna più importante della mia vita: mia madre».
E quando racconta le sue vittime il minorenne perde anche le ultime briciole di umanità di una vita da buttare via. Erano anziani. Uomini e donne indifese. «Uno schifo», dice. «Sì, uno schifo». Ciro ha 17 anni e vive da mesi nella comunità “Peppino Brancati” di Torre Annunziata. Sul collo ha il marchio di fabbrica: un tatuaggio che recita “Pazienza” e due ali «che rappresentano la libertà che spero di poter ottenere presto».
In comunità «sto imparando quanto la libertà sia un bene prezioso e quanto idiota sono stato a metterla in gioco».
Non ha dimenticato il giorno del suo arresto. «Mi hanno preso le guardie perchè avevo strappato una collanina d’oro a un’anziana». Non l’ha fatto per soldi e nemmeno per rivendere la collana che forse valeva molto, l’ha fatto per qualcosa di ancora peggiore: «Vanità». «In quel momento volevo dimostrare di essere grande, importante, uno che aveva potere, che non aveva paura di nulla e di nessuno, volevo solo farmi rispettare anche agli occhi degli amici».