Il loro show è finito. Oggi tocca a noi. E diciamocela tutta, senza fronzoli, ci hanno lasciato il compito più complicato. Ci tocca scegliere il meno peggio, difficile come lo studio di una funzione all’esame di maturità.
Oggi ci tocca spingere la mano sul fondo del barile e cercare lì ciò che ancora resta delle nostre speranze. E’dura, d’accordo, però ci tocca. Magari turandoci il naso, contenendo la rabbia, la delusione, l’imbarazzo di entrare in una casa politica che non ci appartiene, soprattutto il disgusto per i cabaret elettorali, i sorrisi indisponenti e la violenza inaudita di un dibattito privo di contenuti e più simile a uno scontro tribale.
Ci tocca prima di tutto perché il voto è un diritto e un dovere di ognuno, perché pur di garantircelo un bel po’ di gente ci ha lasciato la pelle. E poi perché voltarsi dall’altra parte significa alimentare l’indifferenza e, indirettamente, spianare la strada ai populisti e al rancore che ha ormai sostituito il desiderio del confronto e del dibattito. Ci tocca anche perché restare a casa è come scegliere l’assuefazione e la resa, delegare agli altri le scelte del futuro, guadagnarsi il girone degli ignavi, finire ostaggio di un partito senza volto e senza simboli, deporre l’unica arma democratica che ci resta contro le clave.
Ci tocca perché il movimento del «non-voto», che conta quindici milioni di italiani, più o meno 250 stadi San Paolo gremiti in ogni ordine di posto, è soltanto all’apparenza una risposta poderosa all’oggettiva inadeguatezza dei politici in campo, ma in realtà conta zero. Nulla. E nulla determina. Ovviamente.
Ci tocca quindi per ridurre l’alta percentuale di astensione che cresce oltre il 30% e sottrae milioni di preferenze ai partiti tradizionali di centrosinistra e di centrodestra, meno, purtroppo, all’universo degli estremisti. Quelli di destra, quelli di sinistra e quelli a Cinque Stelle, dentro i quali si è accettati solo se si giura fedeltà a dogmi poco rassicuranti. Universi che inevitabilmente attraggono sentimenti
pericolosi come il rancore e l’intolleranza, che sono la degenerazione della disperazione e della disaffezione.
Ci tocca scegliere il meno peggio per arginare un futuro con troppe ombre, e tutto quello che di negativo ne può conseguire.
Un giorno, un uomo con gli occhiali spessi e la pipa stretta nella mano destra che se ne stava seduto in poltrona con le gambe accavallate, disse agli italiani: «Gli affamati e i disoccupati sono il materiale con il quale si edificano le dittature». Si chiamava Sandro Pertini e gli italiani lo amavano al di là del suo credo politico anche per la sua schiettezza.
Ecco, ci tocca scegliere perché il suo monito vale ancora oggi. Come e più di allora. Perché la deriva violenta e antidemocratica è sempre un boomerang incontrollabile, anche per chi la cavalca sapientemente con l’obiettivo di demolire il passato ad ogni costo.
Ci tocca scegliere e non astenerci per tentare di fermarla quest’onda populista, che potrebbe spingerci ai margini di un’Europa che oggi ci guarda trattenendo il fiato.
Ci tocca farlo anche per rispondere all’appello accorato del presidente della Repubblica, rivolto soprattutto agli under 20 che per la prima volta potranno mettere una «croce» sulla scheda elettorale. Metropolis ha provato ad ascoltarli nelle scuole. Loro vogliono risposte e lavoro più che sussidi e assistenzialismo. Ci hanno detto di essere confusi e impreparati, delusi e disincantanti. Per fortuna, vivono anche oltre i social e non credono alla distinzione tra buoni e cattivi in base a una tessera di partito. A loro importa vedere la luce in fondo al tunnel in un Paese stabile nel quale nessuno giochi a fare la rivoluzione demagogica.
Oggi ci tocca. Abbiamo l’obbligo di scegliere il meno peggio