Che il “mestiere” di narcotrafficante fosse rischioso, Ciro Gargiulo lo sapeva benissimo. Ma a preoccupare “il re del fumo”, individuato dalla Dda di L’Aquila come uno dei capi dell’organizzazione che stava tentando di delocalizzare in Abruzzo il business delle piantagioni di canapa indiana, non erano solo i controlli delle forze dell’ordine. A rivelarlo agli inquirenti, in un’intercettazione ambientale, è lo stesso Ciruzzo ‘o biondo, che in auto parla ad un suo fedelissimo – coinvolto in passato in altre operazioni antidroga, ma non in questa – dell’attività che sta portando avanti ad Avezzano. Ovviamente senza sapere che nell’auto in cui si svolge il colloquio ci sono delle “cimici” che registrano la conversazione. «Lì è una pace», si lascia scappare Gargiulo, alludendo al fatto che i controlli sono molto meno stringenti rispetto all’area dei Lattari, dove spesso il prezioso raccolto finisce in fumo a causa dell’intervento delle forze dell’ordine.
Ma oltre all’attività repressiva, Gargiulo teme anche un altro aspetto, che nemmeno un narcos di lungo corso come lui può governare: la proposta di liberalizzare le droghe leggere, di cui all’epoca – era l’estate del 2016 – si parlava come possibilità concreta, grazie a un disegno di legge sulla questione.
E come dargli torto? Basti pensare che secondo le stime più recenti i consumatori abituali di cannabis indica in Italia sono oltre 4,5 milioni, per un giro di affari in mano alle mafie che supera il miliardo di euro l’anno, visto che il nostro Paese è al secondo posto in Europa per consumo.
Del resto, un altro dato che rende bene i numeri dell’affare è proprio quello relativo al valore della piantagione sequestrata a Luco dei Marsi al gruppo capeggiato da Di Lorenzo e Gargiulo: 1.490 piante sequestrate, per quasi 3mila chili di peso, più altre 2.100 già essiccate, per un peso di altri 2.600 chili. Un “danno” all’organizzazione di quasi 5 milioni, sfumati in un colpo solo.