Pompei – Suo figlio è affetto da una grave patologia. Non è in grado di camminare e, di conseguenza, non può raggiungere nemmeno la sua abitazione situata al primo piano. Per lui le scale rappresentano un ostacolo insormontabile. Per questo, tempo fa, il genitore fece realizzare un ascensore esterno per permettergli di raggiungere l’ingresso di casa più facilmente. Andava tutto bene, almeno fino a quando il Comune di Pompei non ha ordinato la demolizione dell’opera realizzata in una palazzina di via Mariconda. Motivo? A detta dell’ente di piazza Bartolo Longo, la struttura era abusiva e, per questo, andava abbattuta quanto prima. Ma l’ordinanza, datata 2013, venne impugnata dai genitori che, dopo cinque anni di battaglia legale, davanti al Tar della Campania, si sono visti riconoscere i propri diritti battendo l’amministrazione. Il tribunale amministrativo regionale della Campania, infatti, ha dato ragione alla famiglia di Pompei, condannando il Comune e annullando l’ordinanza emanata dal quinto settore dell’ente il 23 aprile 2013. La sentenza annulla l’ordinanza di demolizione in quanto l’ascensore è un’opera funzionale per un disabile. Come scrivono i giudici, l’intervento è lecito perché necessario a superare le barriere architettoniche all’interno di una struttura privata.
Il fatto
I vigili urbani del comando di piazzale Schettini, con i tecnici del Comune di Pompei, effettuarono uno dei tanti controlli anti abusivismo nella palazzina di Mariconda. E fu così che esplose la querelle sull’ascensore. A detta dell’ente, la struttura era fuorilegge, da abbattere al più presto, perché non c’erano le autorizzazioni. Venne aperto un procedimento amministrativo contro i proprietario dell’ascensore – realizzato all’esterno dell’immobile per rispondere alle necessità di una persona non deambulante – sfociato poi nell’ordine di abbattimento. Quindi la battaglia legale intentata dalla famiglia che, difesa dall’avvocato Ippolito Matrone, ha vinto il contenzioso. I giudici della terza sezione del Tar Campania, nella sentenza, precisano «che si è in presenza di un intervento annoverabile tra quelli occorrenti al superamento delle barriere negli uffici privati». E sotto il profilo edilizio, «le opere di eliminazione delle barriere architettoniche non necessitano di permesso a costruire». In più si tratta di un intervento «volto a migliorare le condizioni di vita di persone svantaggiose» e dunque «può interessare anche beni sottoposti a vincolo come quelli culturali», a patto che possa essere realizzato senza un serio pregiudizio del bene tutelato. Tradotto significa che la tutela della persona svantaggiata «può soccombere solo in casi eccezionali di fronte alla tutela del patrimonio artistico». Nella sentenza si legge anche che «non risulta che l’esecuzione dell’ascensore sia stata accompagnata dalla demolizione del fabbricato, come lascia intendere la documentazione presentata dal Comune». E nemmeno «che dell’installazione dell’ascensore la Soprintendenza non si era specificamente occupata. Per cui manca una valutazione negativa dell’autorità preposta alla tutela del vincolo». Pertanto, il Tar annulla l’ordinanza e condanna il Comune. L’amministrazione avrebbe dovuto mettere in conto le difficoltà legate alla disabilità del figlio del proprietario della struttura.