I familiari delle vittime della Moby Prince, il traghetto distrutto da una violenta esplosione a Livorno il 10 aprile del 1991, tornano a chiedere giustizia. Lo fanno a 27 anni da quella notte di misteri e follia che è costata la vita a 140 persone, tra cui anche 14, tra marittimi e passeggeri, originari di Torre del Greco ed Ercolano. La voce della disperazione di chi cerca la verità tra detriti e corpi carbonizzati, è quella di Luchino Chessa, presidente dell’associazione che rappresenta i familiari delle persone morte in seguito allo scontro tra il traghetto e la petroliera “Agip Abruzzo” al largo del porto di Livorno.«Vorrei ricordare al ministro degli Interni Matteo Salvini che i familiari delle vittime del Moby Prince aspettano di avere giustizia da oltre 27 anni, dopo indagini, processi ed una CommissioneParlamentare di inchiesta – le parole di Chessa dopo l’incontro a Viareggio con i familiari delle vittime della strage di Viareggio del 29 giugno 2009 – Sono passati sette mesi dalla relazione finale della Commissione e dalla trasmissione degli atti alle procure di Livorno e Roma, ma da allora è nuovamente calato il silenzio – aggiunge il presidente dell’Associazione, figlio di Ugo Chessa, comandante del Moby Prince – Cosa hanno fatto le procure interessate? Hanno aperto un fascicolo? Vorremmo saperlo». Chessa ricorda come alcuni aspetti sulle cause della collisione tra il Moby e la petroliera Agip Abruzzo siano stati analizzati «troppo superficialmente, da qui la necessità della riapertura di una Commissione Parlamentare che concluda il lavoro già fatto». Il presidente dell’associazione invoca anche l’intervento di espoenti del nuovo governo giallo-verde sulla questione. «come il ministro Matteo Salvini, e parlamentari che hanno la forza di prendere questa iniziativa? Possono il presidente della Camera Roberto Fico e del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati impegnarsi, come fece a suo tempo il presidente Pietro Grasso? Noi familiari continuiamo ad attendere, ma non ci fermeremo mai».I misteriTanti i dubbi che aleggiano su quella collisione.Dall’ombra del traffico di armi ai clamorosi ritardi nei soccorsi. Passando per le registrazioni choc finite nel fascicolo d’inchiesta aperto all’indomani dello scontro per finire con la nebbia che qualcuno disse di aver visto quel giorno. Un processo è stato pure aperto sulla vicenda, ma si è chiuso senza colpevoli, come recitava lo striscione portato in strada, qualche mese fa a Livorno, nel corso della cerimonia di commemorazione della tragedia. A gennaio la commissione parlamentare d’inchiesta ha presentato la sua relazione finale. Facendo cadere alcuni dei totem delle indagini che hanno portato al primo processo flop. E’ stata ribadita l’assenza della nebbia quella notte. E’ stato confermato l’atteggiamento poco collaborativo di chi era sulla petroliera. E soprattutto è stato ribadito, a chiare lettere, che ci furono gravi errori di valutazione nei soccorsi. Da queste basi è stato aperto un fascicolo gestito da due Procure. Quella di Roma e quella di Livorno. Una doppia inchiesta per cercare la verità. Per dare risposte a chi da quasi 30 anni combatte per ottenere giustizia.
CRONACA
20 agosto 2018
Moby Prince, nessuna giustizia «Aspettiamo la verità da27anni»