È l’11 settembre 2001. C’è l’attacco alle Torri Gemelle. Prendo appunti davanti alla tv. Perché voglio essere preciso quando papà tornerà a casa e gli dirò cos’è successo. Avevo 15 anni. Non è solo lavoro. È passione. Eppure gli unni di Fb ci vedono come zecche con yacht, Ferrari e Daytona al polso. Come «i mafiosi coi pentiti», citando una mia fonte alla Dia. Come i seggiolini colorati dello stadio di Udine che danno l’illusione di tribune piene che in realtà sono vuote. A volte penso a chi emigrava e veniva fermato a Ellis Island nella sala dei registri. Una porta tra speranza e dannazione. Nel mio caso, tra vita reale e social. I Coldplay lo cantano in “Miracles”. Brano duro: «My father said: never give up son. Just look how good Cassius has become». Mio padre diceva: non mollare mai figliuolo. Guarda com’è diventato bravo Cassius. A Cassius l’hanno aiutato perché l’hanno conosciuto. Io, noi, siamo Cassius. La sala dei registri ora è chiusa. È un museo. Come forse saranno le redazioni che il M5S eliminerà. Jannacci glielo spiegherebbe meglio: quelli che per una stampa libera chiudono i giornali oh yeah. No, non sono la “vox clamantis in deserto” di San Giovanni Battista sul Giordano. Sono Salvatore Dare, giornalista professionista, 32 anni, per gli amici il “direttore”. Mi chiamano così da una vita perché sanno quanto amo il mio lavoro. Crimi mi toglierà il posto, non valori e attributi.
CRONACA, metropolis
29 ottobre 2018
Il diario dei cronisti di Metropolis «Crimi mi toglierà il posto. Ma non valori e attributi»