SCAFATI – Lo scenario che emerge dalle indagini sull’omicidio di Dino Faucitano, che hanno portato a tre arresti, è quello di una Scafati sotto scacco da parte dei clan malavitosi, e non solo con riferimento al delitto perpetrato quattro anni fa. Un assedio, secondo la magistratura, testimoniato dalla condotta dei Matrone a San Pietro, concretizzatosi anche prima che il 46enne venisse assassinato, il 26 aprile 2015, mentre si trovava in piazzetta Falcone e Borsellino a causa di un debito di droga di 700 euro, nonché presunte rivelazioni alle forze dell’ordine. Il via libera all’assassinio di Faucitano risulta, di fatto, solo una delle testimonianze del forte radicamento dell’organizzazione camorristica, che sul territorio scafatese andava persino a sostituirsi occasionalmente alle forze dell’ordine. Nelle carte dell’inchiesta viene chiamato in causa anche Antonio “Michele” Matrone, figlio di Franchino “a belva”, che all’epoca dei fatti sarebbe stato al vertice della cosca. Al di là della “spedizione” che ha avuto come obiettivo Dino Faucitano, dai Matrone sarebbe arrivato il via libera per altri raid. Ad esempio proprio il figlio di Franchino, secondo gli inquirenti, avrebbe ordinato a Carmine Alfano, esponente degli Aquino-Annunziata, arrestato ed ora in carcere a Cosenza, un acquisto di armi (pistole e fucili, mai rinvenuti dalle forze dell’ordine) allo scopo di punire un gruppo di bulgari. Questi ultimi si erano resi responsabili, in un periodo antecedente all’assassinio di San Pietro, di alcuni furti in appartamenti a Scafati, soprattutto tra via Lo Porto e via Poggiomarino, zona che faceva riferimento al clan Matrone. Tra le vittime della gang di stranieri Anna D’Isidoro, madre adottiva del figlio del ras Matrone, che a seguito dell’episodio si sarebbe dunque convinto a lanciare un segnale, come avvenuto il 18 dicembre 2014, a pochi mesi dalla morte di Faucitano. Insomma, una questione di sicurezza e di controllo del territorio esercitato dalla cosca. Alfano agì in prima persona su input di Matrone, con il danneggiamento di porte e pareti dell’immobile in cui vivevano i bulgari. Gli inquilini della struttura vennero anche minacciati per costringerli ad abbandonare una volta per tutte il quartiere di San Pietro. Una intimidazione resa più esplicita dall’affissione di un cartello recante la scritta: «Via da Scafati, vi stermino tutti, donne e bambini non si toccano». Non una semplice vendetta per il furto e l’affronto subìto dalla famiglia, ma per la magistratura salernitana quella fu la rivendicazione, da parte del clan, del proprio «dominio criminale» sul territorio di riferimento, attraverso azioni mirate a prevenire attività criminose di altri gruppi e dar vita a una vera e propria «sicurezza alternativa alle pubbliche autorità e al potere legale dello Stato».
CRONACA, Scafati
20 gennaio 2019
Scafati: delitto Faucitano, lo scenario «S. Pietro in mano ai Matrone»