TORRE ANNUNZIATA – Ad impugnare la pistola la notte del 31 dicembre del 2007 e uccidere Giuseppe Veropalumbo fu un minorenne. Un sicario giovane che sbagliò obiettivo. Un ragazzino inesperto ma con la sete di vendetta. Negli occhi la rabbia, nelle mani la furia e nel cuore la voglia di uccidere, di punire. Ma l’inesperienza lo ha portato però a versare solo sangue. Terrore e a distruggere una famiglia felice nella notte di Capodanno. Una notte che Carmela Sermino, sua moglie non dimenticherà mai. Il sogno di una moglie che da poco si era sposata e voleva vivere la sua famiglia. Di una figlia che di certo non avrebbe mai immaginato di diventare orfana ancora prima di aver conosciuto l’uomo che l’aveva messa al mondo. Perchè Ludovica non ha mai potuto pronunciare il nome di suo padre se non guardando quella lapide, ogni volta che lo va a salutare. Una storia triste, una di quelle che la città di Torre Annunziata non dimenticherà mai e che dopo 12 anni segna una svolta quasi definitiva, perché, finalmente, la verità potrebbe emergere dopo gli ultimi elementi spuntati fuori dall’inchiesta che la Procura di Torre Annunziata – guidata dal procuratore capo Alessandro Pennasilico – e gli agenti del commissariato di Torre Annunziata – diretti dal dirigente Claudio De Salvo – stanno portando a galla. Una prima svolta era arrivata a marzo del 2018. Il via libera con l’apertura del caso permise ai poliziotti di rinvenire una parte del proiettile che per 12 anni era rimasto conficcato nella parete esterna del muro confinante con l’appartamento dove viveva Giuseppe Veropalumbo e dove fu raggiunto dal proiettile vagante nella notte del 31 dicembre del 2007. La vittima, il meccanico torrese, era nel soggiorno in compagnia della sua famiglia quando fu raggiunto dal colpo fatale. Dal ritrovamento, una serie di rilievi che riuscirono persino a tracciare la traiettoria dalla quale quel colpo fu esploso. Poi gli esami balistici che permisero di identificare anche la pistola dalla quale fu esplosa il colpo, un’arma che nel 2009 fu recuperata nel porto di Torre Annunziata, una calibro 9. Dopo un anno i poliziotti non si sono fermati. E ora l’ennesimo colpo di scena che consegna un nuovo dettaglio che potrebbe vedere le ore del killer contate. A sparare quella notte fu un ragazzino di appena 16 anni. Era in compagnia di altri due coetanei. Tutti minorenni. La pistola era nel cassetto di un loro familiare che due settimane prima era stato arrestato. Nomi noti alle cronache perché tutti vicini ed attivi nel clan dei Gionta. L’uomo era stato arrestato con l’accusa di spaccio, detenzione e molto altro ancora. Un curriculum di calibro insomma. La palazzina doveva viveva Veropalumbo non fu scelta a caso. Anzi. Secondo quei ragazzini e le logiche del clan in quella palazzina viveva chi «aveva cantato il pregiudicato». Insomma uno spione che doveva essere punito e la notte di Capodanno era la notte perfetta. Nessuno avrebbe collegato il raid di fuoco ma il bersaglio avrebbe capito il messaggio. I tre minorenni decisero così di prendere dal cassetto la pistola dell’uomo e di mettere in campo la punizione. Dall’abitazione di Veropalumbo nel rione Cuparella al covo dei Gionta pochi metri. Quanto basta per mettere in campo la stesa. Una raffica di colpi esplosi tutti verso quel palazzo. Uno andò a segno e fu fatale. Dopo 12 anni però chi ha sparato è ancora libero, ma ancora per poco. I poliziotti hanno individuato i tre che quella notte erano sul balcone e aprirono il fuoco. Sono riusciti a risalire al proprietario della pistola che però all’epoca dei fatti non usò l’arma perchè in cella. Hanno identificato i tre ragazzini, oggi maggiorenni e con un curriculum criminale zeppo di precedenti penali. A questi si aggiungerà a breve anche quello di omicidio colposo. Un omicidio che, al contrario di quanto fino ad oggi ipotizzato, i tre sono consapevoli di aver commesso ma per il quale avrebbero – secondo quanto emerge – sbagliato clamorosamente obiettivo. Un errore dettato dall’inesperienza e dall’adrenalina di impugnare quella pistola. Poi la morte di una vittima innocente e il peso di un silenzio lungo 12 anni, che potrebbe presto portare al via libera anche per misure cautelari. Per ora nel mirino ci sono quei tre ragazzini. Figli di un rione-ghetto, quello dove l’unica legge che vale è dettata dalle logiche di un camorra spietata, da un odio che ha armato la mano per vendicare un arresto. Ma che ha invece solo distrutto la felicità di una famiglia che ancora oggi attende la verità. La giustizia.
Giovanna Salvati