Napoli vive un fermento culturale senza precedenti. Contemporaneamente, oltre alle innumerevoli e preziosissime attrazioni permanenti di musei, chiese e castelli ci sono Antonio Canova, Marc Chagall e per pochi giorni ancora Mauris Cornelis Escher. Prorogata fino al 5 maggio 2019 al PAN, Palazzo delle Arti di Napoli in via dei Mille, infatti, la grande retrospettiva del Genio olandese che seppe coniugare geometria e sogno, precisione e rigore scientifico nel disegno, però, di figure impossibili. Oltre 80.000 visitatori in soli quattro mesi fa sapere Arthemisia, l’azienda romana, specializzata nella realizzazione di allestimenti d’arte che ha curato entrambi gli allestimenti delle mostre di Escher al Pan e di Chagall alla basilica della Pietrasanta. E’ un grande esploratore dell’infinito Escher, le cui opere sono molto amate da scienziati e matematici, perché danno forma a paradossi capaci di attrarre nella dimensione illusoria dei suoi disegni realtà che tecnicamente dovrebbero essere estranee a quel preciso spazio figurativo. Bruno Ernst, matematico e grande amico di Escher, infatti, di lui soleva dire: «i suoi disegni ci fanno sentire come se fossimo in balia di un incantesimo. Solo lui è in grado di dare questa illusione e suscitare in noi una sensazione eccezionale, un’esperienza dei sensi del tutto inedita». Escher e i suoi «mondi impossibili», hanno certamente risentito sul piano teorico degli stravolgimenti attuati da Albert Einstein con i suoi due postulati della teoria della relatività e su quello tecnico-grafico della tribarra impossibile di Penrose e del genio di Giovanni Battista Piranesi. Ma se i due curatori della mostra Mark Veldhuysen e Federico Giudiceandrea hanno citato Penrose, a mio avviso, l’aver omesso l’influenza di Piranesi nel lavoro di Escher è una dimenticanza tutt’altro che trascurabile. Escher è nato nel 1898 e morto da 47 anni, quando lo sviluppo tecnologico come lo conosciamo oggi non era neanche lontanamente ipotizzabile. Il suo linguaggio è, però di un’estrema modernità. Escher ha saputo spingersi oltre, come solo i grandi geni sono in grado di fare rendendolo attualissimo ai nostri occhi assuefatti di realtà virtuale, realtà aumentata in film, videogiochi e fruizioni artistiche. La mostra presenta, infatti, oltre alle opere iconiche: Salita e discesa (1960), Relatività (1953), Vincolo d’unione (1956), Metamorfosi II (1939) e Giorno e notte (1938), anche un’ampia sezione dedicata all’influenza che le sue opere hanno esercitato sulle generazioni successive, dai vinili ai fumetti, dai manifesti pubblicitari per finire al cinema: un itinerario di circa 200 opere che parte da Escher per arrivare fino ai giorni nostri. Ma se non siamo ancora stanchi e vogliamo goderci ancora di più un’esperienza artistica senza eguali basta percorrere poche centinaia di metri all’uscita dal Pan ed entrare nell’androne di Palazzo Mannajuolo (1909), che rappresenta uno dei più riusciti esempi di architettura liberty della città. L’edificio progettato dall’architetto Arata ci mostra, infatti, una scala ellissoidale, che sembra uscita da un disegno impossibile di Escher, tutta in marmo a sbalzo e con balaustra in ferro battuto resa celebre anche da Ozpetek nel celebre film Napoli Velata. E se poi fossimo degli stacanovisti (io velo consiglio!) dato che Escher mirava a sorprendere il pubblico del ‘900 attraverso un mondo solamente immaginato, si può dire che l’architetto napoletano Ferdinando Sanfelice vi provvedeva già nel 1700 tirando le strutture al limite, tanto da meritarsi lo scettico soprannome di “Ferdinà lievat’a’sott’” (“Ferdinando levati da sotto”) con le celebri scale impossibili esterne presenti nei celebri Palazzo Sanfelice (Rione Sanità) e di Palazzo dello Spagnolo (Via Vergini). Napoli è tutto ciò e anche di più, dove possibile ed impossibile si fondono in una magia senza eguali.
Domenico Tirendi