TORRE ANNUNZIATA – Capelli rasati, jeans scuro, maglione nero e una giacca chiara a quattro bottoni. Guarda, osserva, parla, mugugna. Passeggia su e giù tra le gradinate di cemento come un leone in gabbia nella cella del tribunale. Si siede solo pochi secondi, poi di nuovo in piedi. Faccia tra le sbarre, volto scuro, qualche ghigno rivolto al fondo dell’aula, dove sono seduti i suoi parenti. Una mano sulla bocca per dire chissà cosa. Un copione che si ripete una, due, tre volte. Finché il giudice non decide di intervenire. «Si metta agli atti che c’è stato un fitto scambio di messaggi durante l’udienza», tuona il presidente della Corte d’Assise di Napoli, Giuseppe Provitera che “invita” i familiari dell’imputato a uscire per sedersi nell’altra gabbia, quella di alluminio piazzata sopra la cella.
Ciro Formisano
Leggi l’articolo completo su Metropolis in edicola o vai alla versione digitale