Camorra | L’inchiesta
Affare spaccio sotto al Vesuvio, l’ex soldato di Cutolo racconta i retroscena del business Il pentito Auriemma: «Così inviavo i soldi in Venezuela in cambio dei carichi di cocaina»
Ciro Formisano
TERZIGNO
Per finanziare le rotte dello spaccio, i narcos della zona vesuviana non usavano strumenti sofisticati e nemmeno anonime valigette cariche di denaro. Si limitavano, semplicemente, a inviare un normalissimo vaglia postale in Sud America. Il tempo di far arrivare il denaro a destinazione e il gioco è fatto. Tutto limpido, pulito e alla luce del sole. Magari con tanto di ricevuta.
E’ uno dei retroscena dell’affare droga che emergono dall’ultima inchiesta condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli a carico del clan Batti, il sodalizio criminale con base a Terzigno che secondo gli inquirenti sarebbe specializzato nell’import-export di cocaina. A svelare questo curioso dettaglio è un collaboratore di giustizia che ai pm della Dda ha raccontato di aver lavorato anche con il clan dei “milanesi”. Il suo nome è Michele Auriemma, ex rappresentante della Nco che agli 007 ha svelato, tra l’altro, anche i tanti misteri della stagione di sangue di cui è stato protagonista il super boss di Ottaviano, Raffaele Cutolo.
Auriemma, in un verbale del 2008 reso noto però soltanto oggi e inserito nel provvedimento cautelare eseguito qualche settimana fa, ha parlato di un presunto accordo con alcuni esponenti della cosca dello spaccio e con un narcos legato alla camorra di Torre Annunziata. L’idea, racconta il pentito, sarebbe stata quella di creare un cartello autonomo per l’acquisto di stupefacenti dal Sud America. In particolare dal Venezuela che assieme alla Colombia è uno dei paesi che esporta nel mondo un’ampia fetta della cocaina consumata dai tossici, da New York a Roma, fino alle stradine della provincia di Napoli. Il canale, quello che nel gergo dei narcos è l’anello di collegamento tra i finanziatori e i trafficanti con base in Sud America, sarebbe stato proprio un parente di Auriemma.
E per finanziare il business, lo stesso collaboratore di giustizia, racconta di aver raccolto il denaro necessario da inviare al “gancio” con base in Venezuela. Due tranche per complessivi 30 milioni di lire (circa 15.000 euro) inviate al familiare proprio attraverso due diversi vaglia. «In base all’accordo che raggiunsi inviai, a mezzo vaglia postale la somma suddivisa in due tranche di uguale importo – le parole di Auriemma messe nero su bianco dall’Antimafia – La cifra serviva a coprire le spese iniziali».
I carichi di droga acquistati dal gruppo, sempre stando alle parole del pentito, sareb- bero poi arrivati a destinazione attraverso alcuni corrieri. Soggetti che avrebbero inghiottito gli ovuli di cocaina prima di attraversare, in aereo, l’oceano e sbarcare in Italia. La consegna degli stupefacenti importati sarebbe poi avvenuta in alcune abitazioni a disposizione dei “finanziatori”, nella zona di San Giuseppe Vesuviano. Auriemma, ritenuto uno dei pentiti chiave di quest’inchiesta, ha tra l’altro raccontato nei particolari come funzionava il sistema spaccio e quali fossero i rapporti di forza tra le varie organizzazioni criminali che ancora oggi si contendono il monopolio degli affari illeciti sul territorio vesuviano.
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Droga e armi, il business della camorra Vaglia postali per pagare la merce ai narcos