A Torre Annunziata ci sono tanti misteri che da anni sono sepolti nella tomba del silenzio. Il termometro della paura qui si chiama omertà. E’ un cappio al collo che strozza in gola le parole e annebbia i ricordi. Anche i più atroci.
Come può una mamma dimenticare una terribile storia di pedofilia che riguarda suo figlio? Come può non ricordare di aver firmato una denuncia nella quale raccontava di essere stata minacciata di morte per aver denunciato dei pedofili? Come può aver cancellato, dalla sua mente, i racconti di quel bambino, violentato, legato e drogato all’interno di una scuola elementare?
Ecco, a Torre Annunziata, succede anche questo. Succede che una mamma che ha asciugato le lacrime di suo figlio, si presenti in un’aula di tribunale per rifugiarsi in una marea di «non so», «non ricordo». Succede anche che un’altra di quelle donne chiamate a testimoniare decida di non presentarsi, rifiutando la convocazione del pubblico ministero senza una reale ragione. Silenzi assordanti che fanno ancora più rumore se di mezzo c’è un omicidio. Quello di Matilde Sorrentino, la mamma coraggio massacrata sulla porta di casa il 26 marzo del 2004. Era sola Matilde quando quel giorno ha aperto la porta di casa al suo killer, individuato nel pregiudicato Alfredo Gallo. E’ sola oggi, abbandonata da chi, invece, avrebbe dovuto combattere per difendere quella battaglia che le è costata la vita.
Retroscena drammatici che vengono fuori dalla seconda udienza del processo a carico di Francesco Tamarisco, il narcos del quartiere accusato di essere il mandante dell’omicidio. Per la procura di Torre Annunziata Tamarisco avrebbe armato la mano di Gallo per punire una delle donne che aveva osato denunciarlo nell’ambito del processo ai presunti pedofili del rione. Un branco di “bestie” che a fine anni ’90 avrebbero violentato, torturato, drogato e filmato, decine di ragazzini di massimo 8 anni. Tamarisco è stato assolto da questa accusa in Appello, al termine di un processo nel quale alcuni bambini, intimoriti, hanno anche deciso di ritrattare le accuse a carico degli imputati. Alcune persone a processo sono, invece, state ammazzate. Secondo i pentiti a ucciderli sarebbero stati alcuni killer al soldo del clan Gallo-Cavalieri. Una vendetta d’onore in stile camorra. Ieri mattina, davanti ai giudici della Corte d’Assise di Napoli era in calendario la doppia testimonianza di due mamme. Due donne che avrebbero dovuto raccontare ai giudici delle violenze terribili denunciate dai loro figli e poi delle minacce di morte che loro stesse hanno denunciato prima e dopo l’omicidio di Matilde Sorrentino. Per gli inquirenti assieme a “mamma coraggio” c’erano anche loro sulla lista nera. Una delle due donne si è presentata in aula rendendo una deposizione oggettivamente reticente. Alle domande del procuratore facente funzioni Pierpaolo Filippelli, che nonostante oggi sia alla guida della procura oplontina ha deciso di continuare a portare avanti questo delicato processo, la donna ha replicato con risposte che hanno lasciato tutti a bocca aperta. Ha detto di non aver mai conosciuto Matilde Sorrentino, di non aver mai conosciuto Alfredo Gallo, di non aver mai sentito parlare dei Tamarisco (nota famiglia di narcotrafficanti che opera in quel rione da decenni). E soprattutto di non «ricordare» di aver subito minacce. Il tutto a dispetto di una denuncia firmata ad aprile del 2004 nella quale, la donna, aveva raccontato di essere stata minacciata di morte prima e dopo l’omicidio di Matilde Sorrentino e di aver anche ricevuto telefonate minatorie. «Ho preso degli psicofarmaci in questi anni, sono stata sul punto di morire. Non ricordo nulla», la giustificazione in aula.
Il figlio della donna ascoltata ieri è uno dei bambini che nel corso del processo – dopo aver reso ampie testimonianze delle violenze subite – ha affermato, terrorizzato, di «non ricordare nulla». I giudici hanno comunque disposto l’acquisizione della denuncia firmata, ormai 15 anni fa. L’altra mamma che doveva essere ascoltata, oggi è sottoposta a misura cautelare, ha invece deciso di non presentarsi proprio in aula, come svelato al termine dell’udienza dal pubblico ministero. Testimonianze che hanno un valore relativo rispetto all’accusa di omicidio contestata a Tamarisco. Ricostruzioni storiche che, nelle idee dell’accusa, dovrebbero servire solo a tratteggiare il contesto in cui sarebbe avvenuto il delitto. Ma quei silenzi assordati, forse, raccontano l’anima nera di una città che ancora oggi non ha il coraggio di schierarsi dalla parte giusta. Una città che ancora una volta lascia sola Matilde. Proprio come è successo quel terribile giorno di 15 anni fa.