I medici fecero tutto il possibile per salvare la vita al piccolo Mattia Ruocco che morì alle 15.45 del 20 marzo 2015 nel reparto di Cardiochirugia dell’ospedale di Monaldi di Napoli. Aveva appena 2 mesi e 23 giorni. A strapparlo via una bronchiolite, malattia virale che nel suo caso si è aggravata di giorno in giorno, e poi di ora in ora, complicata dalla presenza di due batteri che attaccarono il corpicino, l’escherichia coli e lo psudomonas aeruginosa, rivelatisi fatali. Sono le conclusioni a cui sono giunti i medici legali incaricati dal pm Stefania Di Dona della Procura di Napoli che ha condotto le indagini partite dalla denuncia che il papà del piccolo, Fabio Ruocco operaio della Fiat, presentò subito dopo la tragedia.
Una storia straziante in ogni suo aspetto. Anche quello legato al momento dell’autopsia, eseguita ben 32 giorni dopo il decesso perché uno dei 12 medici indagati per omicidio colposo non era in Italia quando gli doveva essere notificato l’avviso di garanzia. Nel corpicino venne iniettata formalina rallentando il naturale processo di decomposizione. Anche questo passaggio fu effettuato ben oltre il momento del decesso, 20 giorni dopo.
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