Francesco ha 19 anni ed è seduto sul muretto della stazione ferroviaria. Indossa pantaloni larghi, occhiali da sole e quel berretto con su scritto «Song’ e sta città». Ha le cuffie e canticchia un ritornello: «Incontrerai chi crede in te, il futuro può essere come vuoi, non lasciarti trasportare e credi in te». Sorride e accompagna quei versetti con dei gesti. Si ferma. Ti guarda e esclama: «E’ una canzone di Nazo e di Hito, è quello che ci resta in questa città: cantare». Dai pizzini inviati dal carcere di Aldo Gionta, e cantati dal neomelodico Tony Marciano per spronare i soldati a ricompattare la cosca agli inni anti-clan di Buscuits e Nazo.
E’ una Torre Annunziata che cambia. Una città che cerca il riscatto impugnando uno spartito. Giovani ribelli e non rampolli. E’ un esercito silenzioso che non vedi ma che senti. E’ la riscossa dei rapper