«Gli volevamo fare capire di non farsi vedere troppo in giro con i nostri nemici. Così gli ficcammo una pistola in bocca»: sembra uscito direttamente da una puntata di Gomorra, il racconto che davanti agli uomini della direzione distrettuale Antimafia di Napoli viene fuori dalle labbra del pentito Pasquale Borragine.
Il “palcoscenico” è la faida di camorra, la guerra senza confini combattuta a cavallo tra il 2000 e il 2010 dal clan Ascione-Papale e dal clan Birra-Iacomino, la cosca che aveva trasformato quello “scugnizzo” che oggi ha 28 anni, in un esattore del pizzo ai commercianti.
Il protagonista è lui – il soldato pentito della Cuparella – ma anche un altro ragazzino con una parentela pesante sulle spalle e dietro l’ombra del clan rivale. Si tratta di Salvatore Infante – 31enne di corso Resina – finito nei giorni scorsi dietro le sbarre del carcere di Secondigliano nell’ambito dell’inchiesta anti-spaccio messa in piedi dai carabinieri della caserma Dante Iovino e dal pubblico ministero Antonella Fratello della Dda di Napoli.
CRONACA
21 maggio 2016
Torre del Greco/Ercolano. Il pentito dei Birra: “Puntammo una pistola in bocca a Infante”