Lo chiamano Cholismo. E’ il calcio feroce, con tutti gli uomini dietro la linea della palla pronti a distruggere ogni mossa dell’avversario. Con le cattive e qualche volta con le buone. Perché per giocare in quel modo serve gente che in campo ci va con il coltello tra i denti, non giocatorini timidi nei contrasti e che si aggiustano le fasce tra i capelli lunghi ad ogni scatto.
Il Cholo Simeone ha portato così il suo Atletico Madrid alla seconda finale consecutiva di Champions League. Un modo moderno di fare catenaccio, che nella scuola degli allenatori italiani ha avuto i suoi precursori.
Eziolino Capuano da Salerno è uno di quelli. “Mi hanno fatto una porcata ad Arezzo…”. Parte subito, niente pretattica, neanche nelle interviste. Quando Capuano già raccontava di essere un allenatore che “frigge il pesce con l’acqua”, Simeone picchiava in mezzo al campo. Sarebbero andati d’accordo. Ora l’allenatore campano usa altri termini, ma siamo lì: “Un allenatore è come un cuoco, deve preparare il pasto con gli ingredienti che ha”.
L’Europa, intanto, sposa a pieno titolo un calcio all’italiana praticato da un argentino che in Italia ha giocato a lungo e che ha avuto tra i suoi maestri Gigi Simoni, meno cattivo caratterialmente ma ugualmente preparatissimo nella fase difensiva.
“Il Cholismo esiste e Diego Simeone lo fa anche bene”. Prima, però, c’era Capuano e l’allenatore salernitano rivendica a pieno titolo la dote. “Per un tecnico è più difficile interpretare la fase di non possesso. Io quando giocavo così non avevo una squadra del valore dell’Atletico. L’ho fatto anche l’anno scorso quando ho allestito l’Arezzo alla quarta giornata, quante volte abbiamo giocato in quel modo”.