“Vogliamo certezze perché c’è in ballo la vita di un uomo”. A chiedere elementi certi è Claudio Salvagni, legale di Massimo Bossetti accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio. Nella sua arringa, in corso nel tribunale di Bergamo, l’avvocato mette in fila “tutto ciò che non torna” contro l’imputato, in carcere dal 16 giugno 2014. Dalla traccia di Dna mista trovata sul corpo della 13enne di Brembate “una fotografia non nitida” su cui “la difesa non ha potuto interloquire”. Le analisi sulla traccia biologica sono state svolte in assenza dei consulenti di Bossetti, perché in quel momento il muratore non era indagato. Per il legale non ci si può affidare completamente alla scienza “perché la scienza non si ferma, con buona pace di chi credeva la terra piatta”. Per Salvagni in un processo ricco di suggestioni, è importante stabilire l’orario del decesso. “E chiaro che se noi spostiamo il tempo di permanenza su quel campo abbiamo un’altra storia, se spostiamo l’epoca della morte abbiamo un’altra storia”. Per i legali dell’imputato, Yara – che non conosceva Bossetti – non è morta nel campo di Chignolo d’Isola dove è stata trovata il 26 febbraio 2011, a tre mesi dalla scomparsa. Nei polmoni della vittima “non c’è calcio” – elemento che ha spinto le indagini a cercare il colpevole nel campo dell’edilizia -, “non ci sono fili d’erba radicati nella sua mano” che la legano a quel terreno, nelle ferite ci sono tantissime fibre “e non ci sono state date risposte su come ci sono finite. Non possiamo dire ‘fa niente’, ci vuole una ricostruzione compatibile. Tutto ciò che non torna diventa un’anomalia, non viene giustificato. Ci sono cose – conclude Salvagni – che vengono spacciate come certezze e non lo sono”.
CRONACA
27 maggio 2016
Omicidio Yara Gambirasio. Clamorosa svolta: la 13enne non sarebbe morta nel…