Giancarlo De Sisti era un numero 10. Lo era in nazionale, con la quale è stato campione d’Europa nel 68 e vicecampione mondiale nel 70. Lo fu nella Fiorentina dello scudetto e nella Roma di Liedlhom. Oltre 600 partite e una ottantina di gol, tra la massima serie e le coppe. De Sisti ha rappresentato la perfetta sintesi tra il razionalizzatore e il giocatore d’estro. Un professore di geometrie calcistiche, puntuale nel decidere tra passaggio semplice e sicuro e apertura a lunga gittata.
Qualche giornalista, esagerando, in quegli anni disse che De Sisti sbagliava al massimo un passaggio a campionato. Un giocatore che oggi manca a molte squadre dopo che, da qualche decennio, gli allenatori hanno fatto di necessità virtù. Per ovviare alla scarsissima disponibilità, nelle rose, di veri registi di qualità, hanno affidato il centrocampo a quelli che un tempo erano solo mediani di spinta e di quantità.
Romano, De Sisti, esordi in serie A, con la Roma, a soli 17 anni e, in 5 annate, rilevò l’ingombrante eredità di Schiaffino, uno dei padri del calcio. La Roma del 65 aveva una situazione debitoria insostenibile. I tifosi facevano la colletta al teatro Sistina per pagare qualche stipendio. De Sisti, per dare una boccata d’ossigeno alla società, fu venduto alla Fiorentina per 250 milioni.
Nella Viola ha vissuto da protagonista la vittoria del secondo scudetto gigliato. Nel 74 torna a Roma fortemente voluto da Liedholm. Il suo soprannome “Picchio” in romanesco indica la “trottola”.
Come allenatore della Fiorentina perse lo scudetto all’ultima giornata nell’81-82. La prolungata assenza Antognoni e qualche chiacchierato episodio pro-juve, impedirono a De Sisti di vincere lo scudetto con la stessa squadra , sia come allenatore che come giocatore. Quell’ultima giornata decretò l’inizio della feroce rivalità tra viola e bianconeri. L’anno successivo, dopo un non meglio precisato malore, fu sostituito alla guida dei viola da Valcareggi, suo trainer a Mexico 70. De Sisti giocatore, forse oggi giocherebbe nel Barcellona.