“Sto pensando di chiedere il cambio di cittadinanza, questo Paese non è più il mio)”. E non risparmia la sua rabbia verso i colleghi, quelli che in teoria avrebbero dovuto dargli sostegno: “Non mi parlare della Rai, della stampa, del giornalismo italiano. E’ merda pura”. C’è molta dell’umanità di Tortora. Lui chiama Francesca “mio caro amore”, oppure: “Cicciotta”. Poi descrive le condizioni aberranti del carcere: “Ci pigiano in sette in pochi metri”, “Chissà perché si dice ‘al fresco’ io muoio di caldo in cella”. Sei al cesso, un buco apposito consente loro di vederti”. Dal giorno dell’arresto, il 23 giugno del 1983 fino al gennaio del 1984 il noto presentatore televisivo, accusato di avere legami con la camorra, cominciò a scrivere una serie di lettere alla sua compagna Francesca Scopelliti che oggi vengono pubblicate nel libro “Lettere a Francesca”. Sono lettere – scrive Repubblica – inedite da cui trapela tutta l’umanità di Tortora. “Guarda per me il mare”, le scriveva e ancora: “Ci si sente umiliati fino al midollo”. Nelle lettere c’è tutta la rabbia, lo sgomento e anche il dolore fisico per la grossa ingiustizia che ha subito dalla giustizia italiana. Tortora non si dà pace. “La lotta fra me, innocente, e l’accusa, impegnatissima a dover dimostrare il contrario (un altro aspetto di questa farsa italiana), durerà a lungo” scrive. “Non hanno niente in mano” e poi l’accusa ai magistrati “Solo tre categorie di persone (ho scoperto) non rispondono dei loro crimini: i bambini, i pazzi e i magistrati”.
CRONACA
13 giugno 2016
Le lettere sconvolgenti di Enzo Tortora dal carcere: “Condizioni aberranti”