Alex Schwazer è seduto a testa bassa in un bar di fronte ad un hotel di Ipanema. Sullo schermo scorrono le immagini di una partita di beach volley dei Giochi di Rio de Janeiro. Lui non potrà prendervi parte. A scrivere la parola fine sulla carriera sportiva del marciatore altoatesino il Tas. Otto anni di squalifica per la positività al testosterone riscontrata lo scorso 1 gennaio e comunicata però solo a metà giugno. Schwazer fa sapere tramite il suo entourage di essere “distrutto” e chiede ai giornalisti che lo inseguono di “avere rispetto”. In conferenza stampa (dove inizialmente era stato annunciato pure lui) a prendere la parola è Sandro Donati, il suo tecnico e noto paladino della lotta al doping che in questo progetto ci ha messo la faccia. “E’ gravissimo che la Iaaf abbia fatto il bello e il cattivo tempo in questo procedimento fino ad arrivare a questa incredibile trasvolata oceanica che mi sa tanto di una beffa studiata per umiliare Alex e chi gli sta accanto – dice – Laddove questo atleta di grande talento sarebbe venuto a conquistare dei risultati, invece deve prendere la mannaia sulla testa”.I punti oscuri della vicenda infatti sono tanti e noti. I sospetti restano ed i legali di Schwazer annunciano già battaglia anche in tribunale. Donati non fa nomi ma il suo obiettivo è chiaro. La Iaaf, federazione internazionale di atletica leggera, dipinta come una sorta di cupola parlando di ente che “si è fatto corrompere” dai russi. Fino alla mattinata l’oro di Pechino 2008 ci credeva ancora. Circa 40km di allenamento sotto la pioggia a Copacabana per farsi trovare pronto. Rispetto a quanto accadde quattro anni fa a Londra in occasione della prima positività questa volta Schwazer infatti si è sempre professato innocente. Proprio forte di questo il marciatore ha cercato di aggrapparsi con le unghie e con i denti ad ogni speranza, invano.A rendere chiaro che le cose si sarebbero messe male le 11 ore di dibattito davanti al Tas presso un grattacielo nel cuore di Rio de Janeiro lo scorso lunedì. In quella occasione, come spiegato da Donati, il team di legali di Schwazer si è trovato a dover confutare una prova, quella della positività. Per farlo però non si è affidata a codici e codicilli ma a “dipingere un quadro generale”, non è bastato. La parola ‘complotto’ non viene mai pronunciata ma aleggia nel vento che soffia forte sul tetto dell’albergo dove in pochi minuti è stata improvvisata all’esterno la conferenza stampa. Attorno il buio. Lo stesso nel quale è piombato Schwazer dopo la sentenza odierna. I dubbi restano, la giustizia ordinaria avrà il tempo ed il modo di chiarirli, ma la carriera di Alex è finita dopo un allenamento sotto la pioggia di Rio. Il luogo dove sognava di trionfare diventato in un attimo quello da cui fuggire il prima possibile.
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11 agosto 2016
OLIMPIADI. Schwazer, carriera finita: 8 anni di stop. “Sono distrutto”