Stava per chiedere soldi finanche agli usurai, tanto era offuscato dalla sua “malattia”. Non riusciva più a guarirne, corne se fosse una droga. E questo, di fatto, è il gioco. Una droga che consuma giorno dopo giorno chi la assume e pensa – erroneamente – di potersene liberare da solo. Non è stato così per Gennaro, operaio della periferia a est di Napoli. Nella sua vita ha fatto di tutto. Il muratore, l’elettricista, il cameriere e perfino il badante. Poi un giorno il tanto atteso posto fisso. Un lavoro in un’impresa edile, che da un giorno all’altro – così come era arrivato – sparì. «Così è cominciata la mia odissea racconta Gennaro – io e mia moglie avevamo una piccola casetta a Ponticelli. Ci eravamo conosciuti da ragazzi e avevamo deciso di mettere su famiglia». Un giorno arriva il colpo di fortuna per i due coniugi. Gennaro porta a casa la notizia che è stato assunto da un imprenditore edile. In due anni però, complice la crisi economica, la situazione si ribalta. Gennaro perde il lavoro. Diventa irascibile, aggressivo. Tanto che arriva a picchiare la moglie. «Non ero più me stesso. Mi sentivo un fallito. Avevo perso l’unico straccio di lavoro che ci permetteva di andare avanti e nessuno ci aiutava. Nemmeno i familiari». Così l’uomo cominciò a entrare nel baratro del gioco. Una sala scommesse, nei pressi di via Argine. «L’unica alternativa mi sembrava quella di giocare e vincere. Vincere per la mia famiglia. Per i miei figli. Per tornare ad avere il loro rispetto e quello di mia moglie».
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