La fuga in Nord Africa. Al mare. In Tunisia. Poi il volo in Algeria, ché lì si sentiva più al sicuro. Cullato dalla convinzione che, se pure l’avessero arrestato, non l’avrebbero potuto estradare in Italia. Alla fine, però, Ciro Spasiano – dopo un mese di vacanze forzate – ha deciso di tornare a casa. Martedì mattina ha preso il primo aereo utile ed è atterrato a Capodichino. Ma non per continuare a nascondersi. Ha bloccato il primo esponente delle forze dell’ordine incrociato nello scalo napoletano e si è costituito: «Sono latitante, arrestatemi». Si sono interrotte così le ricerche del 37enne di Secondigliano avviate all’indomani del 12 luglio scorso, giorno in cui la polizia di Palermo ha dato esecuzione a 24 ordinanze di custodia cautelare in carcere a corollario di una maxi-inchiesta sul traffico di droga lungo l’asse Napoli-Palermo. Spasiano è stato fatto salire a bordo di un’auto della polizia e portato in Questura per le formalità di rito. Poi è stato accompagnato a casa. A Secondigliano. Già, il 37enne ha deciso di rientrare in Italia perché nelle more il Tribunale del Riesame siciliano ha attenuato la misura cautelare del carcere disposta dal gip palermitano che ha pesato la consistenza dell’inchiesta battezzata ‘Tiro Mancino’: i giudici della Libertà – accogliendo in parte le argomentazioni dell’avvocato Domenico Dello Iacono – hanno concesso all’uomo gli arresti domiciliari nella sua abitazione. Una dimora più confortevole e familiare di quelle di fortuna cui Spasiano si era dovuto appoggiare in quest’ultimo mese. Sicuramente anche meno cara. La latitanza costa e il 37enne aveva quasi esaurito il budget per potersi mantenere. Secondo le risultanze dell’indagine, Spasiano era l’anello di collegamento tra Ferdinando Matuozzo – catturato il 12 luglio – e il gruppo di palermitani (in odore di mafia) che si approvvigionava dello stupefacente made in Scampia. Un ruolo centrale, dunque, nell’ambito del traffico di droga interrotto grazie alle intercettazioni. In particolare la Squadra Mobile di Palermo ha accertato che i napoletani rifornivano due diversi gruppi siciliani, uno facente capo ad Antonio Abbate e a Giovanni Battista Di Giovanni e l’altro riconducibile ad esponenti della compagine mafiosa della Guadagna. L’esistenza di questo secondo canale di approvvigionamento era stato documentato attraverso il rinvenimento e sequestro di 3,7 chilogrammi di cocaina e di 500 grammi di eroina, per l’occasione trasportato da due donne napoletane, già arrestate in flagranza nel corso delle indagini.
CRONACA
3 settembre 2016
Narcos latitante si costituisce dopo le ‘vacanze’ in Tunisia