Ogni giorno dell’anno ha una storia. Basta prenderne uno a caso per comprendere come la puntualità del destino resti sempre indefinita. Guardi il calendario e punti il dito sul 4 settembre. La data che ha fatto diventare leggenda Mark Spitz, che nel 1972 vinse la settima medaglia d’oro alle gare di nuoto delle Olimpiadi di Monaco, siglando quel record gigantesco “smontato” soltanto da Micheal Phelps. Il giorno che permise a Francesco Moser di alzare le braccia nel cielo venezuelano di San Cristobal per festeggiare il successo nel Campionato del Mondo di ciclismo. A Salerno, adesso, il 4 settembre che ricorre oggi ha una valenza pazzesca. Più importante della posta in palio sul campo. Perché permetterà alla Salernitana di chiudere definitivamente il cerchio con il passato e completare, davvero, il percorso di redenzione cominciato nel 2011.
Era proprio il 4 settembre quando la massima espressione calcistica cittadina debuttò in serie D all’Arechi con il Palestrina. Non si chiamava Salernitana, bensì Salerno Calcio. Non indossava la maglia granata, ma quella azulgrana. Non aveva cucito in petto il cavalluccio marino, c’era l’effige di San Matteo, stemma del Comune di Salerno. Era l’inizio di un’avventura ambiziosa ma dai mille rischi, il voltar pagina a distanza di pochi mesi dall’ultimo atto del “vero” club di Salerno. Mounard fece i numeri in campo, realizzando una doppietta e regalando alla truppa di Perrone i primi tre punti di una cavalcata esaltante e difficile. In tribuna c’erano per la prima volta Claudio Lotito e Marco Mezzaroma e c’era pure Vincenzo De Luca, attuale governatore della Campania e all’epoca sindaco di Salerno giunto per “benedire” quella creatura nata anche grazie a una sua intuizione. E c’era un presidente di provincia, uno dei tanti volti poco noti alla platea dorata del calcio, uno di quelli che spinto dalla passione (quasi sempre) ci rimette i soldi pur di tentare l’impresa con la squadra del suo piccolo paese. Augusto Cristofari prese posto nella tribuna autorità del “principe degli stadi” e, senza timori reverenziali, s’avvicinò a Lotito sussurrando un interrogativo giustificabilissimo: «Ma voi cosa ci fate in serie D?». Una domanda che risuonò forte nel frastuono provocato da 5mila tifosi, quello zoccolo duro che non s’arrese e che restò accanto al nuovo club in attesa di tempi migliori. «Marchio, colore e denominazione», l’urlo che s’alzò forte dalla Curva Sud negli ultimi 10’ di gioco e che con il passare delle settimane diventò tormentone per esprimere quel desiderio che diventò realtà dopo pochi mesi, in una calda mattinata di luglio in un albergo di Montoro. La voce per provare a smorzare la delusione difficile da digerire dopo la finale playoff con il Verona, la sconfitta di una squadra “povera ma bella” costretta a capitolare al cospetto di una nobile decaduta e finire direttamente nel baratro di un sanguinoso fallimento.
Ogni giorno dell’anno ha una storia. Il destino, adesso, al netto di quel che sarà il risultato del campo, è pronto a ricucire definitivamente quel cammino di sofferenza. Chi crede al fato, ai segni che giungono in maniera inaspettata, sa che non è un caso che oggi, proprio il 4 settembre, la Salernitana ritroverà per la prima volta il Verona all’Arechi. I ventimila che saliranno i gradoni dello stadio riavvolgeranno il nastro dei ricordi, pensando a quel che è stato e al perché di tutto quel patimento. Poi scalderanno la voce, cercando di trasmettere qualcosa in più ai protagonisti del campo. Il modo più spontaneo per saldare il debito con il destino, e chiudere i conti con il passato…