Il lento e nel complesso incerto andamento delle italiane nelle Coppe europee induce a una riflessione. Escludendo la Juventus dei top players e comunque sempre in campo con “eccellenze” italiche dal valore assoluto. Inter, Roma, Fiorentina, Napoli sono tutte imbottite di “strangers” dal nome altisonante e dalla valutazione stratosferica. Per le credenziali trasmesse dalla comunicazione dovrebbero tutti offrire grande spettacolo e concretezza. Non è così. Il campo, anche in campionato, vedi Udinese altra rosa multietnica, ci riporta sempre, per quelle squadre, a risultati tutt’altro che soddisfacenti.
Il fenomeno dell’esterofilia dilaga senza dare segnali evidenti di crescita nella qualità delle prestazioni dei singoli e nel collettivo del gioco. Le recenti amnesie del Napoli, il non gioco dell’Inter, la mediocrità di rendimento della Fiorentina e la scarsa affidabilità della Roma che deve affidarsi all’estro ed alla classe di “nonno” Francesco, l’unico che con le sue giocate illumina ancora gli spalti dell’Olimpico, deludono le aspettative degli appassionati.
Le squadre italiane, un tempo padrone assolute dell’Europa, prendono schiaffi sonori e lezioni di bel gioco a tutte le latitudini. Il prestigio dei nostri club, nello score delle classifiche internazionali, scivola stagione dopo stagione sempre più in basso. Irrimediabilmente.
Vengono propinate alle Società italiane miriadi di calciatori, delle etnie più disparate, che solo sulla carta hanno offrono garanzia di qualità e rendimento. All’atto pratico, una volta schierati in campo, tanti si rivelano delle “pippe” incredibili. Inimmaginabili. Quelle scelte si prestano alle considerazioni più ovvie sulla specifica incapacità professionale di chi è delegato alla selezione o sulla connivenza con operazioni finanziarie di mercato, dal dubbio sapore della legalità.
L’esempio più tipico? L’Inter dei tanti milioni di euro, messi sul mercato, per allestire una compagine che si barcamena nell’anonimato, in Italia ed in Europa. E’ figlia di un management mediocre o dobbiamo giungere ad altre conclusioni?
Politiche aziendali contestabili per investimenti, risultati e professionalità manageriali. Ruoli cardine nella produzione affidati a carneadi del calcio improvvisati.
Si distingue, in questo contesto, la positiva scelta di gestione effettuata dal Sassuolo. L’emergente club di proprietà dell’ex presidente di Confindustria Rodolfo Squinzi. Stadio di proprietà ed una rosa che basa le sue credenziali su calciatori di nazionalità italiana. Alcuni, che vanno per la maggiore, provengono addirittura dalla Lega Pro. Come indicano le regole non scritte del pianeta calcio che indicano quella categoria come una fucina indistruttibile. Il tutto affidato ad un management capace di reperire sul territorio nazionale risorse tecniche, ragguardevoli. Attori che all’interno dello spogliatoio parlano tutte, comprendendosi a meraviglia, la madre lingua italiana.
Da poco tempo ha iniziato un percorso analogo il Milan. Sopratutto per la limitata disponibilità finanziaria, negli investimenti, imposta dalla proprietà berlusconiana. Una politica aziendale che sta però venendo ripagata dai risultati. Di necessità virtù, appunto. Giocano, agli ordini di Montella, diversi giovani italiani. Alcuni provenienti dal settore giovanile rossonero. Un esempio su tutti Gianluigi Donnarumma, il giovanissimo portiere di origini stabiesi, predestinato erede del “nume”, intramontabile, Buffon (anche lui, segno premonitore, Gianluigi).
Esempi confortanti, quelli di Sassuolo e Milan. Indici di una politica aziendale che va rivalutata. Di un valore tecnico del prodotto interno che non deve essere depauperato. Come sta invece accadendo negli ultimi anni. In fin dei conti il Milan di Rud Gullit, Van Basten e Rijkaard si poggiava su basi solide che si chiamavano Baresi, Tassotti, Eranio, Evani,Donadoni, Giovanni Galli, Paolo Maldini, Costacurta. A centrocampo scusate tanto se primeggiava un certo Carletto Ancelotti.
Te la do io la Cina! A buon intenditor…