La riconoscenza è il sentimento più nobile. E nel calcio dell’autoreferenzialità e del divismo egoista sentir dire «grazie» fa emozionare ancora. Leonardo Bonucci, l’altra sera, aveva già commosso l’Italia in diretta tv. Con il volto solcato dalle umanissime lacrime d’un papà che gioca la partita più difficile al fianco del suo bimbo, impotente nello scoprire che stavolta per vincere non gli basta esser un campione, il difensore della Juventus e della Nazionale aveva raccontato alla “Domenica Sportiva” il calvario del suo piccolo Matteo. «È stato un periodo difficile per me e per la mia famiglia. Però quando ti unisce un sentimento, come l’amore per un figlio, sei pronto a tutto. Matteo è stato il primo a darci forza, dimostrandosi un combattente, un guerriero. Non ha mollato, e noi gli siamo andati dietro, consapevoli che ce l’avrebbe fatta. Ora siamo più sereni nel vederlo giocare, ridere, scherzare. Ringrazio tutte le persone che ci sono state vicine, juventine e non: nostro figlio è riuscito nel miracolo d’unire i tifosi di tutta Italia, oltre i colori che il papà porta addosso. È la vittoria più bella».
Parole dritte al cuore. E però non le uniche capaci di dar l’esatta dimensione del valore d’un uomo che riesce a superare se stesso, e la fama conquistata in anni di carriera da calciatore pluri-decorato. A Salerno più che altrove, ha emozionato il ringraziamento di Bonucci a Carlo Perrone. Sì, proprio il “mister due promozioni” all’ombra del Castello d’Arechi, il tecnico della rinascita dai dilettanti alla terza serie, quello dell’ossimoro della «triste felicità» che dopo aver vinto il campionato di D raccontò il suo pensiero di scappare dallo stadio con il nome da principe senza godersi la festa, «perché sono fatto così – ipse dixit – e non riesco a godermi sino in fondo una gioia che forse apprezzerò davvero tra qualche anno».
Era il 2012. Perrone, il primo allenatore dell’era salernitana (all’epoca ancora con l’iniziale minuscola e il sotto “falso nome” Salerno Calcio) di Lotito e Mezzaroma, cominciò a scrivere la storia in punta di penna e di piedi. Lo contestavano per il gioco poco spettacolare, per il suo tono sempre un po’ compassato, persino per le Polo monocolore indossate all’inizio della sua avventura quando andava panchina. Con professionalità, serietà e risultati, il mite trainer capitolino finì per conquistare anche la gente, pur senz’andar mai a “ballare” sotto la Curva.
Il “segreto di Bonucci”, ch’è un vanto della carriera d’un allenatore mai a troppo a suo agio sotto i riflettori, Perrone lo confessò un giorno, quasi sottovoce. È fatto noto, in realtà, perché lo stesso difensore della Juventus e della Nazionale lo descrive nella sua biografia, sul proprio sito ufficiale: «Un incontro rivelatosi fondamentale fu con mister Carlo Perrone. Un uomo e un tecnico con grandi esperienze alle spalle in squadre d’alto livello come Lazio ed Ascoli, cui va il merito di avermi trasformato in difensore centrale; un uomo capace, con le sue attestazioni di stima ed i continui segnali di fiducia, di contribuire in modo determinante alla mia crescita, non solo a livello tecnico ma principalmente come uomo».
Bonucci ha ripetuto queste parole in diretta Rai, alla “Domenica Sportiva”. Aggiungendo: «Senza Perrone, probabilmente, oggi non sarei qui, nel ritiro della Nazionale, e in collegamento con una trasmissione così importante». La semplicità e la riconoscenza, che meraviglia…