Lo hanno ricordato con una lapide di marmo e una celebrazione solenne qualche settimana fa in via Mare, il luogo in cui venne massacrato da innocente dai sicari della camorra. Lo hanno ricordato con una messa e con una sfilza di belle parole immortalate da video e fotografie (tutto ovviamente postato sui social). Ma quando si è trattato di fare sul serio lo hanno “dimenticato”, lasciando da soli amici e parenti nel processo più duro: quello che vede alla sbarra l’uomo che l’avrebbe ucciso con 11 colpi di pistola.
Il tutto con l’aggravante che il “fatto” è stato commesso a Ercolano: per chi non è mai stato da queste parti più semplicemente la città simbolo della lotta alla camorra in Italia, quella del modello anti-clan che viene studiato in ogni parte del mondo. Il regno dei 42 ergastoli, dei 400 arresti, dei boss rinchiusi a vita al 41bis, dei commercianti eroi e della camorra spazzata via dai vicoli. Eppure anche qui, a volte, si commettono degli errori.
Lui si chiamava Salvatore Barbaro, un ragazzo di 29 anni che lavorava come manovale e sognava di cantare. Un giovane normale che con la camorra non c’entrava niente, ma che dalla camorra fu ucciso senza pietà in un terribile agguato il 13 novembre del 2009. Dopo 7 anni di indagini l’Antimafia – grazie ad una lunga inchiesta costruita su intercettazioni e dichiarazioni dei pentiti – arresta i presunti assassini. L’evento – a febbraio – viene celebrato come una liberazione dalla famiglia del giovane e anche dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco-avvocato, Ciro Buonajuto (all’epoca in carica da quasi un anno).
A maggio di quest’anno, tre mesi dopo gli arresti, l’Antimafia ottiene il giudizio immediato per i 4 imputati. Tre scelgono di essere processati con rito ordinario, uno invece opta per l’abbreviato. Ad agosto il Comune di Ercolano, con tanto di comunicato ufficiale, annuncia la costituzione di parte civile nel processo. Ma qualcosa non va per il verso giusto. La richiesta viene accettata per il rito ordinario ma nell’abbreviato si consuma la clamorosa gaffe. L’avvocato di Vincenzo Spagnuolo contesta la “tardività” della costituzione (tradotto: il Comune si è “presentato” in ritardo). Per i legali dell’ente di corso Resina non c’è più nulla da fare. Il Comune resta fuori dal processo che si è concluso martedì mattina con la condanna a 30 di carcere per il presunto assassino di Barbaro (la difesa dell’imputato ha già annunciato ricorso in appello).
Un episodio che inevitabilmente riporta alla mente il terremoto che travolse l’amministrazione comunale guidata dall’ex sindaco, Vincenzo Strazzullo.
Nel 2011 il Comune “dimenticò” di costituirsi parte civile nel maxi-processo agli esattori del pizzo denunciati dai 23 commercianti dell’anti-racket. Le associazioni chiesero addirittura le dimissioni del primo cittadino. Un déjà vù che lascia l’amaro in bocca. E non tanto per il valore “simbolico” della costituzione di parte civile – il Comune ha sfidato in aula decine di boss e killer anche in questi mesi – quanto per il peso di quello che rappresenta – senza dubbio – il più terribile delitto della storia della faida di camorra. Un agguato costato la vita a un ragazzo di 29 anni. Uno che con i clan non c’entrava niente.