Non è ancora tramontato il sole quando l’uomo di spalle comincia a preparare il giaciglio di fortuna per la sera. Indossa un giubbino a colori bianco e rosso e pantaloni scuri. Non si accorge di essere immortalato dall’obiettivo di uno smartphone, che ne tiene tuttavia al riparo la dignità riprendendolo di spalle. Come tanti altri vive sotto i portici della Galleria Principe al Museo. O meglio quella struttura dove tante volte si era parlato di Rinascimento, ma dove tuttora albergano decine di senza tetto ogni sera. Anzi. Ogni giorno e ogni notte. E «Naltra Napoli» oltre i turisti. La faccia della povertà che dilaga.
Un tempo, sotto quei portici c’erano negozi di abbigliamento, bar e finanche un banco del lotto. Oggi qualcuno ha tentato nuovamente di investire, aprendo un ristorante vegetariano. Ma al calare della sera quegli spazi si trasformano in camere da letto per chi un letto e una casa non ce l’ha. Sono decine le associazioni che si occupano di portare cibo, coperte e indumenti ai senza dimora che vivono qui. «La maggior parte sono stranieri», dice un volontario, che preferisce mantenere l’anonimato perché – spiega lui stesso – «la solidarietà deve rimanere nell’ombra». Come nell’ombra vive la gran parte di quelle persone che, di fronte a un gesto solidale, a un sorriso, o a una stretta di mano risponde nella maniera più dignitosa possibile: un timido “grazie” pronunciato mentre s’intravedono quei pochi denti che ha. Ma l’Esercito degli homeless vive anche in altre zone del centro cittadino. Come via Ponte di Tappia, a pochi passi dalla centralissima via Toledo. E a pochi metri dagli uffici della questura.
Davanti alle vetrine chiuse alcuni clochard hanno sistemato coperte, cuscini e scatole di cartone. Tutto ciò che possiedono per ripararsi da freddo e pioggia durante la notte. Proseguendo verso piazza Municipio e attraversando via Verdi si arriva all’altra Galleria quella più famosa. La Umberto I. Anche qui ormai i porticati sono il ricovero dei senza tetto. Tanto che qualcuno ha addirittura “nascosto” dei plaid tra le colonne di marmo coperte dai ponteggi per evitare che malintenzionati glieli portino via. Storie di un’umanità senza più nome né identità, di cui si ricordano, ogni sera, i volontari di associazioni e unità mobili di strada. Un’altra faccia di quella Napoli “viva” di cui parlano le istituzioni, distante però dalle luci di NAlbero sul Lungomare.