“Fermate i proiettili, Natale è simbolo di nascita, di vita e non di morte”. Tuona così il parroco anti-clan don Antonio Carbone alla notizia dell’ennesima notte di spari e della scia di sangue che lunedì mattina ha lasciato l’ennesimo agguato scampato nel rione del Piano Napoli a Boscoreale. “Il ritorno della faida? Spero di no, voglio credere che non sia così perché questa città è stanca e non merita di ritornare indietro cento passi dopo le piccole, ma importanti, conquiste che sono state fatte in questi lunghissimi anni”. Al solo pensiero che in città si possa tornare a sparare il volto di don Antonio diventa buio. “Emanuele, il Dio con noi, vicino sempre e in questo periodo in cui il Natale rappresenta la nascita di un seme di speranza c’è chi continua a rifiutarlo – incalza ancora don Antonio – ogni volta che ci armiamo di cose sporche, di pistole luride, di tutto ciò che fa ammalare la nostra coscienza e la nostra anima diventiamo persone marcie e la città ha bisogno di linfa nuova, viva e non di chi vuole il male”. Non entra nel merito di quello che sta accadendo ma il suo appello lo rivolge soprattutto ai giovani “Quello che ogni volta mi fa male sentire e vedere è che sono soprattutto i giovani a lasciarsi trascinare in questo vortice della criminalità, sono i più deboli è vero, ma sono anche gli unici che possono fermare questo cancro. Quest’anno ai giovani, nel messaggio della notte di Natale chiederò di lasciarsi trascinare dal bene e non dal male, di aiutare un loro amico ad uscire dal tunnel buio della violenza, della camorra o della droga. L’esperienza di chi ci è stato e ne è uscito può rappresentare la vera ancòra di salvezza”. Sulla stessa linea anche il rettore della Basilica della Madonna della Neve, monsignor Raffaele Russo che invece spiega: “Sono preoccupato di quello che sta accadendo senza dubbio soprattutto per quello che sta accadendo nel Piano Napoli dove l’aumento di microcriminalità, di violenza e di spaccio rappresentano un campanello d’allarme – incalza il decano territoriale – e anche a Torre Annunziata la mia preoccupazione risiede nel vedere queste frange di baby-boss che ogni tanto emergono e che disturbano chi invece nel mio rione e tra i miei parrocchiani invece sta percorrendo una strada di recupero, di cambiamento. Credo che la repressione sia si il metodo delle forze dell’ordine ma noi chiesa, istituzioni, associazioni abbiamo il dovere del cercare di recuperare giovani, di strapparli alla strada buia della criminalità che spesso paga solo la fedeltà con la morte o con il carcere”.
CRONACA
21 dicembre 2016
La crociata dei parroci contro i clan di Torre Annunziata: «Posate subito le pistole della morte»