Non c’erano solo i nomi di carabinieri e commercianti anti-racket sulla lista nera dei boss della camorra di Ercolano. C’erano anche i magistrati, gli uomini dello Stato che negli ultimi anni sono stati capaci di colpire al cuore le cosche del Miglio d’Oro. E c’era soprattutto Pierpaolo Filippelli, ex pubblico ministero dell’Antimafia diventato procuratore aggiunto del tribunale di Torre Annunziata. Lui, l’uomo dei 40 ergastoli, dei 500 arresti, dei 20 boss al carcere duro. Il magistrato che ha imbastito le trame delle inchieste che hanno messo in ginocchio la camorra sotto al Vesuvio.
Una figura “scomoda” per i padrini che negli ultimi 40 anni hanno dettato legge nei vicoli e nelle strade. Un personaggio da “eliminare”, secondo i boss che dal carcere inviavano messaggi di morte attraverso i loro emissari.
La rabbia della camorra che si scontra con lo Stato è nelle parole di un’intercettazione ambientale catturata nel parlatorio del carcere di Palermo e finita al centro dei processi che vedono alla sbarra le donne della camorra. Dall’altra parte del vetro c’è Luigi Papale, il capoclan che da Torre del Greco a Ercolano aveva tentato di ricostruire le fila della cosca finita nel mirino del pm dei record.
Le parole del boss – oggi recluso al regime del 41 bis – sono agghiaccianti. Parlando con sua moglie, Gelsomina Sepe – condannata in primo grado per associazione a delinquere di stampo mafioso – Luigi Papale sfoga la sua rabbia contro il magistrato che in quel momento stava distruggendo le certezze del clan.
Il padrino chiama il pm dell’Antimafia “Filippetto” in maniera dispregiativa, secondo l’interpretazione degli inquirenti. «Questo s***», ripete davanti alla moglie Luigi Papale. «Gli dovrebbe accadere qualcosa di male», l’augurio choc firmato dal capoclan dei “catanesi” di vico Moscardino e indirizzato – sempre secondo la Dda – a Filippelli.
A scatenare la furia assurda del boss le condanne e la raffica di pentimenti eccellenti che stanno mettendo al tappeto il clan. “Come fai a dare un mandato di cattura a mio figlio”, ripete ancora Papale.
Parole agghiaccianti che fanno da eco ai progetti di morte che il clan dei siciliani- la cosca che ha portato la mafia sotto al Vesuvio – era pronto a mettere a segno per colpire – come emerso da altre inchieste – carabinieri e rappresentanti dell’associazione anti-racket. Eloquente, in questo senso, la volontà di far “camminare su una sedia a rotelle” un imprenditore che aveva denunciato i parenti di un capoclan dei Papale.
Una rabbia figlia delle riscossa che negli ultimi anni ha messo in ginocchio la camorra vesuviana. Grazie proprio a quegli eroi che hanno rischiato la vita pur di cambiare le cose. Dai carabinieri ai commercianti anti-pizzo, passando per il magistrato dei record nato nel mito di Giovanni Falcone.