Si è presentato in aula accompagnato da due carabinieri. Uno sguardo veloce alle “gabbie” vuote e un altro ai monitor. Poi si è seduto davanti a Rosa Romano, presidente della terza sezione della Corte d’Assise di Napoli e ha cominciato a raccontare la sua storia. La storia di un ragazzo che ha visto morire suo padre sotto i suoi occhi. Del figlio di un ras che con coraggio oggi sfida la camorra nella veste, scomoda, di testimone di giustizia.
Quell’uomo di 40 anni si chiama Giovanni Montella ed è il figlio di Ciro Montella, un camorrista considerato vicino al clan Ascione-Papale che l’11 marzo del 2003 venne ucciso a colpi di pistola assieme a Mario Ascione, all’epoca il reggente della cosca. Secondo i pentiti Ciro Montella non era sul libro nero della guerra tra clan. Ma fu colpito solo perché si trovava al posto sbagliato e soprattutto assieme al padrino del clan di corso Resina.
Giovanni Montella aveva 26 anni. Era ed è un ragazzo assolutamente estraneo alle logiche della malavita, come ribadito in questi anni anche dai magistrati che l’hanno ascoltato e conosciuto. Quel giorno di 13 anni fa vide i killer di suo padre con le mani macchiate di sangue. Sentito poche ore dopo il delitto decise di non parlare. Poi tornò sui suoi passi e davanti ai carabinieri di Torre del Greco raccontò il suo inferno istante dopo istante, facendo nomi e cognomi dei camorristi che sono stati arrestati per l’omicidio di suo padre.
Un racconto ripetuto, ieri, davanti ai giudici e al pubblico ministero dell’Antimafia Sergio Ferrigno, il pm che ha raccolto il fascicolo aperto da Pierpaolo Filippelli, oggi procuratore aggiunto a Torre Annunziata. Il processo con rito ordinario nato dall’inchiesta messa in piedi da carabinieri di Torre del Greco e Dda vede alla sbarra due pezzi da 90 del clan Birra-Iacomino: Lorenzo Fioto, lo stalliere della Cuparella, ed Enrico Viola, altro uomo di punta della cosca di Giovanni Birra. Nell’altro filone processuale, per il duplice omicidio di Ascione e Montella, sono stati già condannati all’ergastolo – in primo grado – boss e sicari dei clan Birra e Lo Russo, l’alleanza della faida che mise in atto il delitto.
Giovanni Montella ha raccontato la sua verità. Partendo dall’incontro con Vincenzo Esposito – l’uomo che avvisò i killer della presenza di Ascione davanti alla sala scommesse – e poi delle ultime parole che gli disse suo padre quando arrivò davanti all’agenzia “Strike”. «Mi disse: entra dentro stanno le guardie in giro – il racconto di Giovanni Montella – non voleva che mi fermassero assieme a dei pregiudicati». Un consiglio che ha salvato dalla furia dei sicari la sua vita. Pochi istanti dopo, infatti, davanti alla sala scommesse è arrivato il commando dei killer. Dodici colpi uno dietro l’altro. Il killer che uccise suo padre lo fece puntandogli una pistola la testa e sparando due volte.
«Ero nella sala scommesse, sentì soltanto esplodere dei colpi – il succo del racconto di Giovanni Montella – Alfonso Guida (pregiudicato che venne ucciso sempre nel 2003) mi raccontò di aver visto Enrico Viola sparargli alla testa». Un racconto giudicato fondamentale anche dal gip Marcello De Chiara che firmò l’ordinanza di custodia cautelare a carico di Enrico Viola e degli altri imputati.
Poi è toccato al pentito Vincenzo Esposito rispondere alle domande. Ricostruendo nei dettagli il delitto che lui stesso organizzò in prima persona, fornendo ai killer anche una “base” sicura in un lido balneare di Torre del Greco.
Il tutto mente Giovanni Montella usciva dall’aula. Scortato dai carabinieri e con l’animo più leggero. Del ragazzo che 13 anni fa vide suo padre in una pozza di sangue non è rimasto nulla. A parte i ricordi raccontati con coraggio davanti ai giudici. Flash che hanno cambiato per sempre la sua vita e che oggi rischiano di costare l’ennesima stangata alla camorra di Ercolano.