«Napoli è come Beirut. Non c’entra niente il rilancio turistico. Secondigliano, ma anche altri quartieri, sono offuscati dal male. Le istituzioni la smettano di fare passerelle e guardino in faccia la realtà». Non sta sul pulpito, ma padre Andrea Adamo, parroco della chiesa di Maria Santissima del Carmine, lancia il suo anatema a margine della commemorazione per la strage del 23 gennaio 1996. Una tragedia dove morirono 11 persone, a causa dell’esplosione di una condotta del gas. Dopo la breve omelia-benedizione in cui il sacerdote ha ricordato le vittime – ieri mattina – nella piccola cappella in via Limitone d’Arzano, al confine con il famigerato Rione dei Fiori, un tempo storica roccaforte del clan Di Lauro, don Andrea ha voluto puntare i riflettori sull’assenza delle istituzioni locali in termini di sicurezza in un quartiere ad alto tasso criminale. «Dopo le 19 questa zona diventa terra di nessuno – tuona, mentre i cronisti e i fotoreporter attorniano i rappresentanti di Palazzo San Giacomo, il vice sindaco Raffaele Del Giudice e il presidente del Consiglio comunale Sandro Fucito – tra corso Secondigliano e via Limitone d’Arzano, ma anche nelle stradine limitrofe cala il coprifuoco e rapine, scippi e episodi di violenza di ogni genere si moltiplicano. Siamo soli. Non ci serve sapere che al centro i turisti sono aumentati – rimarca il parroco – ci preme essere tutelati e vedere più forze dell’ordine perché Secondigliano e l’area nord sono come Beirut, come territori di guerra abbandonati al loro destino». Già nel corso della commemorazione di ieri mattina nella cappella dedicata alle vittime, sorta sul luogo della strage, padre Adamo aveva ricordato alle istituzioni presenti: «l’uomo deve impegnarsi a trasformare questa zona e ognuno deve fare la propria parte in un territorio dove si deve garantire il futuro ai giovani». Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente della VII Municipalità Maurizio Moschetti: «Oggi ricordiamo un dramma nel dramma, non solo per il ventunesimo anniversario della strage del Quadrivio, ma anche per l’incapacità dell’Amministrazione centrale. C’era un progetto di recupero del terreno dove avvenne la tragedia: un albergo, un centro commerciale e un polifunzionale. Non si è mai fatto nulla. Come Municipalità non abbiamo potere, ma solleciteremo il Comune a riqualificare un’area che è ancora simbolo di morte». E a ricordare le vittime ieri c’erano soprattutto i familiari e i sopravvissuti. Tra cui Michele Sarnataro, all’epoca caposquadra della Arzano scarl, la ditta che stava costruendo il tunnel dove trovarono la morte 11 persone: «Ero lì sotto, quando sentii le prime avvisaglie e nel momento in cui cercai di uscire l’esplosione mi fece balzare in aria. Ricordo solo buio totale e di essere stato miracolato». A finire risucchiato dallo scoppio fu invece un altro operaio, Alfonso Scala, di cui oggi la moglie Giuseppina ricorda: «Quel giorno aveva ricevuto la qualifica di minatore, ma non lo seppe mai». Così Gennaro De Girolamo, un altro operaio sopravvissuto che nella strage perse il fratello Mario: «Sono vivo per miracolo perché lo scoppio avvenne intorno alle 16.30 e quella sera avrei dovuto dare il cambio a mio fratello che finiva il turno alle 22». Dopo 21 anni il processo si è concluso, ma giustizia né verità sono ancora state date ai familiari, come sottolinea Sandro Russo, figlio di una vittima: «Chiediamo la bonifica di quest’area che è piena di erbacce e rifiuti, ma anche di ottenere giustizia dalla magistratura. Se necessario dopo Napoli andremo a protestare a Venafro, dove il processo è stato spostato».
CRONACA
24 gennaio 2017
Secondigliano, al ricordo della strage del Quadrivio lo sfogo del parroco: «Napoli come Beirut»