Non potrà ripetere davanti ai giudici le accuse che ebbe il coraggio di fare nei confronti di chi si presentò nel suo autosalone come «il figlio di Nicola ‘o fuoco» e avrebbe provato a farsi dare un’Audi A1 a metà del prezzo di listino. Morto. Stroncato a 46 anni mentre faceva jogging a Pozzano, lui che era un podista allenato e aveva partecipato persino alla maratona di New York. Era stato Alberto D’Auria, imprenditore di Gragnano titolare di una concessionaria a Torre Annunziata nella zona al confine con Castellammare, a denunciare alla polizia la visita di Giovanni Carfora, rampollo 26enne del più noto Nicola boss di camorra detenuto all’ergastolo per l’omicidio di Michele Cavaliere ucciso nel 1998 per essersi ribellato al pizzo, nonché giocatore del Gragnano Calcio, e di Antonio Ottone 33 anni.
Le sue parole portarono nell’ottobre 2015 agli arresti domiciliari per i due ragazzi, poi revocati (a carico di Carfora junior c’è il divieto di dimora da Torre Annunziata) e dopo circa un anno al processo a carico di entrambi con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo camorristico per quel presunto richiamo al nome del boss Carfora. Ma quelle parole non potranno più essere ripetute in aula. Non è un dettaglio di poco conto e potrebbe avere conseguenze sull’esito del processo con rito ordinario in cui, com’è noto, la prova viene formata dal contradditorio tra le parti, accusa e difesa.
CRONACA
27 gennaio 2017
Gragnano. Estorsione, il calciatore figlio del boss Nicola ‘o fuoco a processo