Il pentito di camorra che ha fatto scoprire i rifiuti tossici interrati nel ventre del Vesuvio ha un nome e un volto. Si chiama Ciro Gaudino, affiliato con licenza di uccidere e cugino di Ciro Montella, ‘o lione, boss ergastolano del clan Ascione-Papale. A sei mesi dall’ultimo sequestro di una cava di rifiuti interrata nel cuore del vulcano, il pentito della monnezza esce allo scoperto. La rivelazione choc è arrivata qualche giorno fa, durante il processo nato dall’inchiesta sull’omicidio di Salvatore Barbaro, vittima innocente della camorra ucciso per errore il 13 novembre del 2009.
Rispondendo alle domande del pubblico ministero Sergio Ferrigno, Gaudino ha ripercorso le tappe della sua collaborazione, raccontando di aver consentito all’Antimafia – grazie ai suoi primi verbali datati 2014 – di sequestrare armi, munizioni e anche monnezza. “Al momento del mio arresto ho consegnato armi, munizioni, droga. Ho fatto fare anche ritrovamenti di rifiuti tossici interrati, quelli della camorra”.
Parole agghiaccianti che arrivano a 180 giorni dal blitz dei carabinieri del Noe che portò alla luce una cava nella quale sono stati ritrovati 400.000 metri cubi di rifiuti, Dalle pezze – da sempre un business per la camorra vesuviana – passando per materiale di risulta edile, ma anche amianto, fusti carichi di lubrificanti e carcasse di auto distrutte.
Una pattumiera messa insieme dalla camorra, come ripetuto a margine dell’operazione dai militari dell’Arma e come ribadito, a chiare lettere, anche dal killer del clan Ascione-Papale. Nei verbali segretati firmati dal super-pentito potrebbero esserci i misteri del sistema “monnezza” che negli ultimi 30 anni ha fatto del Vesuvio il vulcano più inquinato del mondo dove morire di tumore “è diventato normale”, come ripetuto dalle associazioni salva-ambiente della zona in questi anni.
Dubbi e misteri che potrebbero essere sciolti dalle parole del collaboratore di giustizia. Le domande alle quali dare risposta sono tantissime: chi ha seminato rifiuti nel cuore del vulcano? Quali interessi si celano dietro le cave dei veleni? Quali sono gli imprenditori che hanno “beneficiato” del sistema di smaltimento della camorra?
Domande che potrebbero trovare risposta anche nel curriculum criminale di Gaudino. Il pentito, come da lui stesso ammesso durante il processo, negli anni ’90 era vicino al clan dello spaccio guidato dal boss Giovanni Durantini, trafficante di droga con base a Pugliano. Poi dal 2009 è stato assoldato come killer dagli Ascione-Papale, cosca diretta – in prima persona – da suo cugino Ciro Montella, da Pietro Papale e dal boss Natale Dantese.
La storia della malavita vesuviana racconta che i clan della zona – in particolare gli Ascione – sono stati attivi nel campo dell’imprenditoria criminale. In particolare nel business legato agli stracci: gli stessi scoperti nella cava dei veleni scoperchiata dai carabinieri del Noe.
In questi anni del Vesuvio e delle discariche della camorra avevano già parlato altri pentiti. Come Giovanni Savino, ex ras del clan Birra, che aveva fatto nomi e cognomi di famiglie di imprenditori legate a doppio filo al business dei rifiuti a Ercolano. Ma anche Gaetano Vassallo, il ministro della monnezza del clan dei Casalesi che aveva indicato, in alcune cave del Vesuvio, i centri per lo smaltimento illecito del traffico di rifiuti che ha portato i veleni delle fabbriche del nord a sfregiare l’immagine del più meraviglioso simbolo di Napoli.
Durante il processo Gaudino non ha approfondito la questione rifiuti, non era il tema centrale del procedimento. Nelle sue poche parole, però, c’è una certezza che viene a galla dopo 40 anni di dubbi, misteri e morti sospette. Quei rifiuti che hanno condannato a morte il Vesuvio li ha scaricati la camorra.